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Il Natale venezuelano spostato da Maduro a ottobre e il sacrificio di vivere in una democrazia

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Immaginare oggi un paese democratico in cui il presidente decreta che il Natale stavolta si celebra il 1° ottobre, come il giorno in cui un tempo iniziava la scuola in Italia. Oppure, un paese democratico dove la Guardia costiera attacca pescherecci e imbarcazioni di un altro paese che navigano nella propria zona economica esclusiva. Vedere un paese democratico, poi, che bombarda, terrorizza e distrugge la nazione confinante, dopo averla invasa, uccidendo donne, bambini. Decapitati mentre giocano nel parco. È immaginabile? L’ordine globale vive una crisi iniziata quindici anni fa con la nascita della BRICS, l’accordo economico finanziario deciso tra Brasile, Cina, India, Sud Africa e il paese aggressore dell’Ucraina. Una scelta nata dal fallimento delle politiche del Fondo Monetario internazionale.

Quello che sembrava impensabile allora è oggi realtà, con una escalation sempre più chiara. Forme di governo ottocentesche – basate sul controllo autoritario del potere, stati di polizia – contrapposte alle democrazie occidentali dei paesi del G7 e della quasi totalità, quasi, dei paesi aderenti alla NATO, società imperfette certo, ma democratiche. Ciò che è inimmaginabile a Santiago del Cile, Washington, Roma, Kyiv, Tokyo, accade a Caracas, Mosca, Pechino. Se Maduro decreta il Natale per il 1° ottobre, se Xi Jinping attacca i filippini nella propria zona economica esclusiva e se il pluriricercato dalla Corte penale internazionale Putin persevera negli attacchi terroristici su ospedali, centri abitati, parchi giochi ucraini è perché quelli sono stati totalitari. Non possiamo stupirci. Sappiamo che i nostri governi non adotterebbero mai queste decisioni, ma dobbiamo essere consapevoli che si tratta di realtà del pianeta. Purtroppo.

Quello che dovremmo chiederci, piuttosto, è fino a che punto siamo disposti a batterci perché i nostri valori di libertà, eguaglianza, competibilità del potere politico, così faticosamente conquistati dopo la Seconda Grande Guerra, si diffondano anche in quei paesi non democratici. Perché è dalla risposta che ci daremo, se l’Ucraina potrà sperare di vincere la guerra, tornando ai confini del 1991. Se in Venezuela le elezioni torneranno ad essere trasparenti senza bisogno di scendere nelle piazze. Se la Mongolia arresterà Vladimir Putin. Se Taiwan potrà finalmente far parte delle Nazioni Unite e le Filippine vedranno rispettati, democraticamente, i confini legittimi della propria giurisdizione territoriale. Molte delle nostre democrazie sono tali grazie al sacrificio fatto da cittadini di altri paesi che nulla avevano a che fare con i nostri paesi. Oggi siamo noi a doverci chiedere quali sacrifici siamo disposti a fare per ucraini, venezuelani, filippini, annichiliti nei loro diritti, ma anche per quei russi, cinesi, iraniani, nordcoreani che non condividono le politiche dei propri governanti. E a differenza nostra non possono dirlo.

Francesco Nicola Maria Petricone*

*Università Lumsa

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