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La storia della truffa di undici Università telematiche

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Nomi noti nell’ambito accademico per confondersi all’interno delle acque della formazione universitaria. Titoli di Laurea e specializzazioni che non seguivano i canonici percorsi previsti dalla legge italiana. Bastavano, in alcuni casi, 7.500 euro per acquistare – di fatto – un attestato che, però, non avrebbe mai avuto un riconoscimento ufficiale nel nostro Paese. Una vera e propria truffa all’interno di un sistema che – vista la portata – ha consentito da ben undici “Università telematiche” (o che si spacciavano per tali senza averne i requisiti) di insinuarsi all’interno dell’ecosistema degli atenei italiani. E tutti con sede nel nostro Paese.

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Nell’era del digitale – anche a causa della difficoltà sempre maggiore di far convivere studio e lavoro -, da anni in Italia si è espanso il numero di persone che si sono rivolte agli Atenei telematici (molti dei quali consentono anche una fruizione ibrida – in loco o da casa – per assistere alle lezioni propedeutiche agli esami per ottenere i CFU necessari). Proprio questa esigenza, sempre più pressante, ha rappresentato l’ecosistema perfetto per la truffa condotta da alcune (false) Università telematiche. Sono moltissimi gli esposti che hanno dato il via a un’indagine – anche da parte del Ministero dell’Istruzione -, con realtà dislocate su tutto il territorio.

Truffa Università telematiche italiane, cosa è successo

Undici atenei che, in realtà, non erano tali. Non avevano richiesto e ottenuto tutta la certificazione necessaria per ottenere l’abilitazione alla formazione e – soprattutto – al rilascio dei diplomi (e dei titoli di certificazione). In alcuni casi, le lauree e altri documenti venivano “venduti” a prezzi variabili (si parla di 7.500 euro), senza aver seguito alcun percorso di formazione. Alcune di queste realtà erano prettamente digitali, altre avevano anche sedi per consentire agli “iscritti” di partecipare alle lezioni in presenza. Non è un caso che i primi dieci esposti riportano tutti la stessa dicitura iniziale: «Istituzione operante sul territorio italiano priva di idoneo accreditamento/riconoscimento al rilascio di titoli accademici». Un vero e proprio mercato per acquistare titoli di studio o, in altri casi, ingannando lo studente/iscritto che pensava di essersi rivolto a un Ateneo certificato. Lauree, specializzazioni ma anche pacchetti di CFU che venivano, di fatto, venduti e acquistati, come spiega una nota del sindacato Federazione Lavoratori della Conoscenza (FLC) della CGIL in una nota:

«Risulta anche che vengono garantite certificazioni linguistiche o acquisizione all’estero di abilitazioni/specializzazioni alla modica cifra di 7.500 euro, bypassando selezioni in ingresso, tirocini, esami finali e – “non occorre nemmeno compilare le crocette di un questionario online” – assicura l’operatore di una di queste università interpellata da un aspirante docente». 

Dunque, Atenei che non erano tali perché privi di accreditamento. Un sistema che, in molte occasioni, si basava su similitudini nei nomi. In che senso? Alcune di queste Università (non abilitate e riconosciute) utilizzavano una denominazione molto simile ad altri enti o istituzioni universitarie (o formative) molto conosciute. Uno stratagemma per confondere – in molti casi – lo studente.

L’elenco

Ed eccoci arrivati ai nomi al centro di questi esposti. Si tratta di dieci Università su cui si è deciso di accendere un faro (dopo molte segnalazioni) nella primavera scorsa. In più, ce n’è anche un’altra che ha sede a Palermo, ma anche in Bosnia:

  • Università degli studi UnideMontaigne di Milano
  • Università popolare Scienze della nutrizione di Firenze
  • Università popolare-Unitelematica Leonardo da Vinci (con sedi dislocate)
  • Università anglocattolica San Paolo apostolo di Roma
  • Università popolare degli studi sociali e del turismo di Napoli
  • Centro studi Koiné Europe+ di Lecce
  • Harris University di Palermo
  • Uniaccademia-Westbrook University
  • Reald University di Palermo
  • Selinus University of Science and Literature a Ragusa-Bologna

A questi, come detto, si aggiunge anche il caso dell’Università Jean Monnet-Goradze su cui è stata aperta un’indagine penale, parallelamente a quella ministeriale. 

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