Monza, da Tempio della Velocità a palcoscenico di giovani fenomeni
L’asfalto luccica di nero sfavillante, messo ancora più in risalto da un sole impassibile e impietoso, troppo caldo perfino se confrontato con quelle oltre trecentomila teste calde che arroventano spalti, prati e tribune con il loro tifo e la loro passione.
E’ di nuovo quel periodo dell’anno, quella stagione di transizione in cui le foglie degli alberi possono ancora scegliere se cadere o restare ancora un po’ attaccate ai loro rami, in cui una nuvola all’orizzonte può significare lo scatenarsi di una bufera di lì a poco, in cui gli studenti centellinano ogni minuto delle giornate di libertà che ancora li separano dall’inizio della scuola: è di nuovo il periodo del Gran Premio d’Italia.
Ed eccoci di nuovo qua, come da settant’anni a questa parte: neofiti spaesati fra gente che conosce la liturgia a memoria, accroccatori di strutture precarie da prato contro compassati frequentatori di tribune vip, figli di Michele Alboreto che sono diventati genitori di Kimi Antonelli… Beh, tutti noi meritavamo un Gran Premio d’Italia finalmente teso ed emozionante come non accadeva da un po’.
Il popolo della Formula Uno, quello vero, che non ha bisogno di stupidaggini pubblicitarie o di essere gratificato dalla presenza di qualche supposta star che non distingue una monoposto da un cane terranova, quel popolo meritava una gara così. E ancor più gratificante osservare – concedete questa deviazione a una che mastica amaro da qualche anno di troppo – che per questa gara finalmente bella non dobbiamo ringraziare il dominatore di turno o la pluridecorata vecchia gloria, ma un gruppo di eccellenti e giovanissimi piloti.
Il Tempio è sempre stato generoso con i giovani fenomeni: sembra quasi che quella successione sinuosa e infida di curvoni e rettilinei nasconda una formula magica del giorno di gloria particolarmente facile da afferrare a chi unisce talento, fame e tattica alle poche primavere segnate sulla carta d’identità. Questa volta i fenomeni erano sgargianti nelle loro livree e minacciavano di assoggettare il Tempio alle loro Papaya Rules ed è stato davvero un piacere godere del loro spettacolo!
Tuttavia lo strappo nell’anima lo dobbiamo al cuore nero di una monoposto rossa. Nero, come il colore vivido dell’asfalto che puzza di nuovo e di gomma. Nero, come il colore della tuta di Charles Leclerc. Nero, come il calabrone, il quale – lo sappiamo tutti – ha una struttura che non lo rende capace di volare, ma lui lo ignora e vola lo stesso. Tuttavia la Ferrari – calabrone del giovane fenomeno monegasco sa bene di non avere la struttura adatta per volare più veloce della McLaren di Norris e Piastri o per competere in solidità e costanza con la Red Bull di Verstappen, eppure è con lui che sbanca Monza, da outsider, con una strategia che è una lucida follia e una gestione della gara che si incastra alla perfezione come le tessere di un puzzle da mille pezzi al primo tentativo.
Magari la Ferrari non vincerà più niente quest’anno e il campionato si avvierà alla sua più prevedibile conclusione, saremo assoggettati alle Papaya Rules oppure resteremo sotto i Lord Bibitari, ma ha vinto nel posto giusto nel modo migliore possibile, con un pilota che dimostra quotidianamente che essere un fenomeno non vuol dire necessariamente esternare una personalità piacevole come una manata di carta vetrata sulle natiche.
Che la Ferrari sia veramente pronta a crederci e a provarci o finalmente stufa di dover sempre spiegare e capire: sarà questo il significato nascosto nella vittoria di Monza? In ogni caso, sarebbe un’ottima notizia.
Che i complimenti cavallereschi e nient’affatto scontati dei rivali siano indice di una rinnovata attenzione e considerazione nei confronti di Maranello? Se simili caimani si dichiarano bonariamente felici che abbia vinto qualcun altro al posto loro, mi viene da pensare che ritengano questa vittoria un episodio che non li impensierisce, al di là del fair play da social media manager.
Nel frattempo l’asfalto torna silenzioso, il sole picchia ancora duro e dagli alberi inizia a cadere qualche foglia, in attesa di un nuovo giovane fenomeno che torni a lucidare quelle curve e quei rettilinei il prossimo anno.
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