“Non si fucila la domenica”, i due stendardi e quella eterna vocazione irregolare di Lucien Rebatet
Non si fucila la domenica. I milanesi, come ci ha insegnato Giorgio Scerbanenco, uccidono il sabato, invece per le fucilazioni possiamo aspettare il martedì, basta soffermarsi sulla tremenda vicenda legata a Robert Brasillach condannato a morte il 6 febbraio 1945. Tra gli scrittori collaborazionisti di Francia durante la Seconda Guerra Mondiale in Italia è uso parlare e ricordare Louis-Ferdinand Céline, Pierre Drieu La Rochelle e il già citato autore del romanzo I sette colori. Scrittori a cui è stato appiccicato addosso l’onta di aver scelto la Repubblica di Vichy e di intendersela con la Germania di Adolf Hitler. Ma non siamo qui per aprire parentesi di storia, ma per tornare alla frase con cui abbiamo aperto l’articolo.
“Non si fucila la domenica”
Non si fucila la domenica è il folgorante pamphlet del 1953, pubblicato qualche anno fa da Mimesis in italiano, che ripercorre i quasi due anni di prigione – dall’8 maggio 1945 al 9 aprile 1947 – che Lucien Rebatet ha vissuto sulla sua pelle. Viene raccontato l’arresto, il processo e la condanna per intelligenza con il nemico. Il 24 agosto del 1972 a Moras-en-Valloire, dove era nato, moriva a 69 anni la penna dietro Les Décombres, il libro più venduto in Francia durante l’occupazione nazista, e I due stendardi, per stessa ammissione di François Mitterrand: “L’umanità si divide in due campi. Quelli che hanno letto I due stendardi e gli altri”.
Il saggio ripubblicato
Lo scorso anno la casa editrice Oaks ha pubblicato il saggio Un rivoluzionario decadente. Vita maledetta di Lucien Rebatet redatto dal docente universitario e critico cinematografico Claudio Siniscalchi. Per ricostruire la vita di questo irregolare francese una chiacchiera telefonica con Siniscalchi è quello che ci vuole. “Rebatet non ha mai rinnegato nulla. Non ha mai cambiato parere. C’è un’intervista radiofonica del 1968 in cui sostanzialmente gli chiedono conto della sua adesione al Fascismo durante la gioventù. Lui risponde dicendo che la via fascista era l’unica possibile e che del suo passato cambierebbe poche cose”.
Un gigante della letteratura
Per l’accademico è possibile comprendere “l’ideologia fascista leggendolo e non condivido la visione di Stenio Solinas che dice, sostanzialmente, come Rebatet abbia sbagliato in politica, ma sia stato un gigante in letteratura. Attraverso la lettura de Les Décombres e de I due stendardi la chiave politica è essenziale per comprendere Lucien Rebatet”. Inoltre giova ricordare come per Henri Langlois, il fu direttore della Cinémathèque Française, il protagonista di queste righe “fosse stato il più importante critico cinematografico francese vissuto tra le due guerre mondiali”.
L’incontro con Truffaut
“Io non giudico Rebatet cerco di capirlo”, continua la conversazione, “c’è un libro, per esempio, sull’antisemitismo francese al cinema che è una stronzata, qui si è lasciato andare all’ideologia”. Ma c’è un incontro avvenuto negli anni ‘50 tra Lucien Rebatet e François Truffaut che fa ancora parlare di sé. “Non è chiaro se Truffaut abbia cercato Rebatet o viceversa. I due confrontandosi e dialogando hanno capito che la natura della loro gioventù era la stessa. All’epoca Truffaut collaborava con una rivista che vedeva riunita la vecchia destra francese. Si riconoscevano, entrambi spiriti antiborghesi e anticlericali, e l’incontro fu tutto meno che casuale”. Una vera e propria scatola nera degli anni mescolati tra Fascismo, Vichy e Seconda Guerra Mondiale. Una scatola nera seppellita per non permettere più di comunicare. “I due stendardi è un libro di filosofia, un odio filosofico non della democrazia, ma della Francia corrotta. Siamo davanti a un romanzo teologico”, ci dice ancora Siniscalchi. La conversazione si chiude con una riflessione. “Il cinema fa diventare moderni Rebatet e Brasillach così come il Fascismo che è un’ideologia fondata sulla modernità. Se non si capisce questo non si capisce l’essenza ultima dei fascisti”.
I testi di Marchi per capire Rebatet
Un altro autore, scomparso prematuramente, che negli anni ‘90 ha lavorato alla diffusione degli scritti di Rebatet è stato Moreno Marchi. Nel testo Memorie di un fascista 1941-1947, da quest’ultimo curato, c’è un passaggio essenziale per comprendere e capire Lucien Rebatet. L’autore si chiede “Perché proclamarsi fascisti?” e la risposta è un fiume in piena. “Perché eravamo giovani ed il Fascismo rappresentava il movimento, la rivoluzione (…). Perché ci volevano regimi forti, per lottare contro il comunismo (…). Pretendevamo (…) il rigoroso controllo o la nazionalizzazione delle banche di credito industriale per la difesa degli operai e degli impiegati contro l’inumana rapacità del capitalismo”. Parole, pensieri e azioni di chi ha saputo fare tutto tranne rinnegare la sua vocazione fascista.
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