Per il debito pubblico continuiamo a pagare un prezzo senza senso: basta autoflagellarsi!
Spesso, ci convinciamo di alcune idee senza prendere il tempo di guardare i numeri veri. Questi pensieri diventano poi pregiudizi che influenzano il modo in cui vediamo la realtà. Un esempio classico è il debito pubblico dell’Italia. Sentiamo spesso dire che il nostro Paese è troppo indebitato, che spendiamo troppo e che per questo dobbiamo pagare un prezzo alto. Ma se guardiamo bene i numeri e li confrontiamo con quelli di altri Paesi come Francia e Germania, ci rendiamo conto che la realtà è molto diversa da come ce la raccontano.
In Europa, si parla spesso di quanto ogni Paese deve restituire a chi gli ha prestato soldi, ovvero il debito pubblico. L’Italia è sempre al centro di queste discussioni, ma se confrontiamo la nostra situazione con quella di Francia e Germania, vediamo che c’è qualcosa di strano. Nel 2022, i debiti di Francia e Germania messi insieme erano più del doppio del nostro: ben 5.515 miliardi di euro contro i nostri 2.758 miliardi. Eppure, l’Italia ha dovuto pagare 83 miliardi di euro in interessi, cioè più di quanto hanno pagato insieme Francia e Germania (77 miliardi).
Nel 2023, la situazione è rimasta quasi la stessa. I debiti di Francia e Germania sono saliti a 5.724 miliardi, mentre quello italiano era di 2.863 miliardi. Nonostante questo, l’Italia ha pagato quasi la stessa cifra in interessi rispetto ai due Paesi messi insieme: 79 miliardi contro 84 miliardi. Questo succede perché l’Italia paga tassi di interesse molto più alti rispetto a Francia e Germania. Nel 2022, il nostro tasso era del 3,1%, mentre la Germania pagava solo l’1,1% e la Francia l’1,8%. Anche nel 2023, la differenza è rimasta: l’Italia pagava il 2,9%, mentre Germania e Francia solo l’1,4% e l’1,6%.
Questi numeri ci fanno capire che l’Italia, anche se non spende più degli altri, continua a pagare un prezzo esagerato per il suo debito.
Questo non ha senso se guardiamo alla nostra economia: l’Italia è forte nella produzione di beni, esporta più di quanto importa (bilancia commerciale positiva) e buona parte del nostro debito è in mano agli italiani stessi (assicurazioni, fondi, banche, famiglie), il che significa che i soldi restano nel Paese. Ma la politica europea è ossessionata solo dal rapporto tra quanto un Paese produce e quanto deve restituire (il famoso rapporto debito/PIL), considerato come l’unico indicatore della salute finanziaria di un Paese.
Ma, a ben guardare, il rapporto debito/PIL non è l’unico parametro da considerare. L’Italia possiede una ricchezza finanziaria netta molto grande, superiore a quella di molti altri Paesi. Questo dovrebbe rassicurare chi ritiene che siamo troppo indebitati, poiché il nostro debito pubblico può autofinanziarsi sia attraverso gli acquisti diretti di titoli di Stato da parte delle famiglie, sia indirettamente tramite i loro depositi bancari, che permettono alle banche di sottoscrivere BOT e BTP.
A tal proposito, se considerassimo il rapporto tra il debito pubblico e la ricchezza finanziaria netta delle famiglie, l’Italia si collocherebbe solo all’undicesimo posto tra i Paesi del G7 e dell’Eurozona. Questo dato dovrebbe far riflettere su come spesso la percezione del nostro debito pubblico sia distorta da un’analisi superficiale che non tiene conto della reale capacità di un Paese di sostenere il proprio debito.
Non possiamo più permetterci di continuare a pagare un prezzo così alto per il nostro debito, soprattutto quando la spesa per interessi è destinata a pesare sempre più sui conti pubblici. È necessario un cambio di prospettiva: anziché colpevolizzarci e soffiare sul fuoco del rigore fiscale, dovremmo concentrarci su politiche che stimolino la crescita e valorizzino le nostre risorse economiche.
Solo così l’Italia potrà uscire da questo circolo vizioso e affermarsi come un’economia forte e sostenibile all’interno dell’Unione Europea.
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