Le casse automatiche invadono i bar del centro a Trieste. Comodità e precisione, ma l’uomo è più veloce
Fra i tanti momenti che rendono unico il rituale del “nero” al bancone, uno è sicuramente quello in cui si contano in velocità le monete e le si porgono, con complicità e sicurezza, al proprio barista di fiducia. In alcuni locali, ormai da un po’ di tempo, il gesto è però accompagnato dalla presenza voluminosa di una cassa automatica. La si vede in azione in molte gelaterie e negozi del centro città, ma lentamente sta prendendo piede anche in certe caffetterie.
Diventata di moda in pandemia, quando per ragioni sanitarie era particolarmente sconsigliato toccare il denaro con le mani, i triestini stanno ora facendo l’abitudine al suo utilizzo. «All’inizio è stato difficile, perché crea una barriera con la clientela», racconta Valentina Piazzolla di Pep’s, che l’ha introdotta a marzo dell’anno scorso. «Abbiamo dovuto istruire i clienti – prosegue Piazzolla – che però si sono familiarizzati abbastanza presto».
I vantaggi sono evidenti. Il primo è, come detto, igienico: «Non tocchiamo più denaro e questo è sicuramente positivo», spiega Piazzolla. A ciò si aggiunge un fattore di precisione, impareggiabile rispetto al sempre possibile errore umano nel conteggio del resto. E poi, soprattutto, a pesare sono le ricadute in termini di comodità per chi lavora: al termine del giorno, anziché contare l’incasso banconota per banconota e moneta per moneta, la cassa automatica presenta già la cifra finale, sgravando così i baristi o i loro superiori di un compito da sempre fra i più fastidiosi.
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E la velocità? Qui la cassa automatica sembra cedere il passo al passato. «L’uomo rimane più veloce», afferma Piazzolla, affrettandosi a spiegare: «Basta un intoppo per bloccare tutto. Un tedesco, un giorno, ha inserito il bancomat al posto delle banconote, obbligandoci a intervenire». Tant’è che durante i grandi eventi come la Barcolana, Pep’s ha deciso direttamente di rimuoverla, tornando ad affidarsi alle mani dei suoi baristi.
Per ovviare a problemi del genere, il Caffè Sacher è ricorso a un compromesso. «Abbiamo girato la cassa automatica verso la cassiera», spiega il titolare Dizzi Alfons. «In questo modo i clienti danno i soldi alla nostra dipendente, che li inserisce a sua volta nella macchina».
Si perde il vantaggio dato dall’igiene, ma si riesce a evitare il pericolo che qualcuno, non capendo il suo funzionamento, finisca per bloccare la cassa automatica. E poi c’è un altro aspetto che Alfons tiene a rimarcare. Il “gesto” simbolico del pagamento di cui si diceva all’inizio, infatti, si fonda proprio sul contatto ravvicinato fra cliente e barista: «Facendo così, noi rimaniamo a metà fra il vecchio metodo e quello moderno», sottolinea allora il titolare.
Si è, insomma, ancora a una fase di sperimentazione, sulla scia di quanto accaduto con i supermercati, dove è oggi frequentissimo vedere le casse automatiche a fianco di quelle ordinarie. In questo caso, però, il contesto è più delicato, andando a intercettare un luogo “sacro” ai triestini come il bancone del bar. A volte si sentono degli sbuffi di insofferenza, altre invece il pagamento automatico ha assunto tutta la sua naturalezza. Il tempo dirà se l’introduzione sia irreversibile o soltanto transitoria.