L’assegno unico per i figli diventa un caso politico. Dalla clausola di salvaguardia che sta per finire ai vantaggi minori per chi ha redditi bassi: i punti da rivedere
Stop all’assegno unico per i figli oggi ricevuto dalle famiglie più abbienti: quelle che hanno un Isee superiore a 45mila euro o non lo presentano. Più soldi per quelle molto numerose e con disabili. Oltre a una modifica dei requisiti per rispondere alla procedura di infrazione Ue che contesta l’esclusione dei lavoratori stranieri non residenti. Il tutto redistribuendo i circa 20 miliardi disponibili, che comprendono le risorse prima destinate ad assegni familiari e detrazioni per figli a carico. Il governo, secondo Repubblica, in vista della prossima manovra studia un restyling e un nuovo nome per la misura varata durante il governo Draghi sulla base di quanto previsto dal Family act del 2020 e diventata operativa nel 2022. Mentre le opposizioni attaccano, il Ministero dell’Economia definisce “fantasiosa” l’ipotesi di tagli e la ministra per la Famiglia e la Natalità Eugenia Roccella, cui è affidato il dossier, garantisce che il governo “non sottrarrà mai un solo euro alle famiglie”. Una revisione però è ipotizzabile, confermano altri esponenti di maggioranza.
Di certo nel disegno attuale dell’assegno, che raggiunge circa 6 milioni di famiglie e quest’anno dopo la rivalutazione per l’inflazione va da un minimo di 57 a un massimo di 199,4 euro per figlio minore a carico, non mancano i punti deboli. Le analisi dell’Ufficio parlamentare di bilancio sugli effetti dell’introduzione del nuovo strumento aiutano a ricostruirli. Il fatto che il parametro di riferimento per il calcolo della prestazione sia l’Isee e non più il reddito familiare e individuale assegna un peso rilevante al patrimonio immobiliare, aspetto problematico vista la mancata riforma del catasto che al momento, ricorda l’Upb, “favorisce i segmenti della popolazione con maggiore ricchezza abitativa”. Tradotto: chi ha fatto un mutuo per comprare un appartamento nuovo in periferia risulta più ricco – e dunque meno bisognoso di sostegno pubblico – rispetto a chi ha una casa di pregio in centro. Irrisolto, poi, il paradosso per cui l’assegno unico incrementa l’Isee stesso riducendo il diritto ad altri aiuti e bonus.
Un altro tasto dolente riguarda la clausola di salvaguardia. Senza interventi, dall’anno prossimo verrà meno il paracadute che finora ha “salvato” almeno in parte le famiglie con Isee fino a 25mila euro che nel passaggio da assegni familiari e detrazioni all’assegno unico sarebbero state penalizzate. Nel 2022 il potenziale ammanco è stato coperto totalmente, nel 2023 solo per i due terzi e quest’anno solo per un terzo. Dal marzo 2025 la tutela sparirebbe, col risultato che 746mila nuclei – sempre secondo i calcoli dell’Upb – riceverebbero in media oltre 500 euro in meno rispetto alla situazione pre assegno unico. Una beffa che danneggerebbe soprattutto chi ha redditi familiari medio-bassi.
Più in generale, il focus dedicato dall’Upb all’assegno nel marzo 2022 evidenziava come dal punto di vista distributivo la riforma avesse un effetto progressivo solo grazie all’estensione della platea di beneficiari ad autonomi e incapienti, prima esclusi da assegni familiari e detrazioni. Guardando però solo alle famiglie che già beneficiavano di quegli aiuti, emergeva come i vantaggi sia assoluti sia relativi fossero maggiori per i nuclei con redditi medi rispetto a quelli con redditi molto bassi. Per una famiglia appartenente al primo decile di reddito – il più basso – il vantaggio medio si ferma infatti a 53 euro contro i 381 goduti da chi è nel sesto decile e gli 82 in più incassati dai nuclei del nono decile.
Un intervento mirato su quei punti potrebbe eliminare le storture senza ridurre il supporto alle famiglie. Con l’eccezione di quelle che superano la soglia Isee massima, pari a poco più di 45mila euro, oltre la quale oggi si riceve una quota base minima. La scelta di garantire anche ai benestanti una cifra simbolica rispondeva alla volontà di creare finalmente uno strumento universale, ma qualche economista ha criticato per motivi di equità la previsione che l’assegno vada anche a chi l’Isee non lo presenta proprio. A scapito di chi ne avrebbe più bisogno.
Resta da vedere se la reale intenzione del governo Meloni sia quella di limare le risorse a disposizione per la misura per recuperare coperture per altri capitoli della legge di Bilancio. Con l’ultima, quella per il 2024, 350 milioni di euro sono stati dirottati a copertura di altre uscite perché rimasti inutilizzati. Dopo che la manovra 2023 aveva al contrario previsto aumenti per le famiglie con tre o più figli e per quelle con un bambino di meno di un anno. Ora Roccella giura che per il 2024 “abbiamo impiegato per le famiglie tutte le risorse possibili e non ci sono stati avanzi perché l’incremento dell’assegno, in particolare per le famiglie numerose e per quelle con particolari fragilità, è stato significativo, con una crescita della spesa da 16 a 20 miliardi”. Per verificarlo occorre attendere il testo della manovra, a ottobre. Quanto alla procedura di infrazione Ue, la ministra la contesta affermando che “chiede di cancellare completamente il requisito della residenza in Italia (attualmente di due anni) per i percettori dell’assegno non lavoratori, e anche quello della durata del rapporto di lavoro (attualmente di almeno 6 mesi), e addirittura di riconoscere l’assegno anche a chi ha figli residenti all’estero“. Modifiche che comporterebbero “un effetto domino incontrollabile” sui conti pubblici.
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