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Август
2024

Eco-vandali: è il giorno del giudizio, chi danneggia paga

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Ultima Generazione va a processo. Con le nuove norme i contestatori che hanno imbrattato monumenti e opere d’arte, oppure causato interruzioni in strade o eventi pubblici, vengono sanzionati. Ribellarsi è più bello, se alla fine si pagano i danni...

Applaude la Gioconda, i Girasoli di Van Gogh sono rifioriti, la Primavera del Botticelli ringiovanisce senza quelle mani incollate addosso. Nell’estate del rinascimento artistico invecchia solo Ultima Generazione, quella degli eco-vandali sopraffatti da un problemino che non avevano considerato quando hanno deciso di violare le opere d’arte planetaria: i processi, le condanne, le sanzioni. In molti Paesi d’Europa il reato è vandalismo. In Italia (dove ogni ribellione ha qualcosa di edipico, quindi è tollerata in partenza) ora il conto delle bravate è contenuto nella legge: multa di 60 mila euro ai deturpatori per il ripristino dei beni, che vanno ad aggiungersi alla reclusione da uno a sei mesi, più multe da 2.500 a 15 mila euro (in vigore da due anni) per danneggiamento. Sommette che anche gli sponsor e le famiglie degli «eco-warriors» si stanno stancando di pagare.

Coscienze inquiete e pressione bassa. Così si fatica a trovare l’entusiasmo per andare a bloccare una tangenziale, a pittare la fontana del Bernini, a deturpare il Dito di Maurizio Cattelan in piazza della Borsa a Milano senza correre il rischio di diventare il dito (medio) in commedia. Lo ha ammesso la pasionaria europea del movimento, Marina Hagen-Canaval, austriaca, che in un momento di sconforto ha alzato bandiera bianca. A Vienna la questione climatica non è più un’urgenza. «Fermiamo le proteste perché non vediamo più speranze di successo, il nostro Paese vuole restare ignorante. E i fondi che ci restano li useremo per coprire i costi della nostra criminalizzazione».

Sarà, ma alla base dello stop c’è anche un pizzico di vergogna per essere stati scoperti ad alterare le immagini del Tirolo su Google Maps, mostrandolo desertificato dal Global warming. Credibilità a picco. Lo scandalo ha rallentato di molto il flusso dei fondi; il Sahara a Innsbruck era una bufala ma gli 80 mila euro di spese legali per sostenere un processo (accusa di organizzazione criminale e danni alla proprietà) sono reali. E pesano. La rivoluzione non è un pranzo di gala e la crisi è anche una questione d’immagine. Dopo il blocco di fine luglio dell’aeroporto di Francoforte (130 mila passeggeri fermi in 12 ore e caos in tutta Europa), i manifestanti hanno perso ogni simpatia; ora la gente comune li vede come fumo negli occhi.

In Italia i processi stanno trasformando Ultima Generazione in Ultima Spiaggia. La mappa giudiziaria è affollata di condanne. A Bologna, per blocco stradale (si erano sdraiati sulla tangenziale nord con le mani cementate all’asfalto), tre eco-vandali sono stati condannati a sei mesi per violenza privata e interruzione di pubblico servizio. Stessa pena per altri due che avevano bloccato il traffico in via Lenin, sei denunciati per il blitz alla fontana di Nettuno. A Roma tre attivisti si ritrovano una condanna di otto mesi sulle spalle per aver imbrattato Palazzo Madama con la vernice: Davide Nensi, Alessandro Sulis, Laura Paracini hanno dovuto anche sborsare 60 mila euro per il risarcimento del danno.

A loro è andata peggio rispetto ai tre che si erano incollati al vetro della Primavera del Botticelli agli Uffizi a Firenze. In quel caso il giudice li aveva mandati assolti perché «il fatto non sussiste». Ma eravamo agli albori. Resistevano vecchi paternalismi che annacquavano le sentenze per «particolari motivi di ordine morale e sociale». Come a Venezia, dove i sei buontemponi che avevano caricato estintori a Nesquik e spruzzato la facciata di San Marco sono stati perdonati dalla Procuratoria della basilica nonostante la denuncia per danneggiamento, poi archiviata. A Milano la tolleranza è intermittente: nessuna richiesta danni per la statua imbrattata di Vittorio Emanuele II in piazza Duomo (costo del ripristino: 200 mila euro e la vernice si vede ancora). Ma per il Dito di Cattelan sporcato con vernice gialla, tre eco-vandali sono stati rinviati a giudizio e il Comune si è costituito parte civile per lanciare la «giustizia riparativa». Con il rischio di una conclusione surreale proposta dagli imputati: «Vorremmo andare nei licei a tenere lezioni sull’ambiente». Sarebbe una presa in giro.

Come abbiamo visto a Bologna, i tribunali hanno la mano più pesante con i blitz sulle strade. Come è accaduto ai 12 manifestanti che hanno bloccato per un’ora la Roma-Civitavecchia, provocando sei chilometri di coda; l’ingorgo ha intrappolato anche mezzi di pubblico servizio e ambulanze. I protagonisti hanno fatto tre giorni di carcere per «attentato alla sicurezza dei trasporti, interruzione di pubblico servizio, violenza privata aggravata dal numero di persone». E sono stati denunciati per manifestazione non preavvisata. Tre di loro sono orgogliosamente recidivi. In situazioni simili le condanne sono quasi certe, i risarcimenti arrivano anche a 100 mila euro e la fedina penale rischia di sporcarsi definitivamente.

In aula gli eco-vandali perdono arroganza e aura di infallibilità. Si tengono per mano mentre ascoltano le sentenze e sono accompagnati dai genitori che li giustificano: «Ma quale atto vandalico, è stato un gesto politico». E poi via con il pistolotto della sensibilità per l’ambiente maturata alle elementari. Nel frattempo, fuori dai tribunali la claque manifesta per il supporto psicologico, guidata da Cobas e rappresentanze politiche (Verdi, sinistra tendenza Ilaria Salis, ala gruppettara del Pd), a conferma che dietro i polli d’allevamento di derivazione gaberiana ci sono vecchi arnesi della protesta e intellettuali radical. La sintesi è rappresentata da Erri De Luca, da Lotta Continua a lotta per il clima (attraverso No-Tav e No-Triv), fiancheggiatore cult per eccellenza: «Siamo noi a sporcare il mondo, loro non sono dei contestatori ma dei precursori. Si muovono lanciando segnali e aprendo delle piste». Un endorsement politico chiaro è arrivato da Andrea Orlando, firmatario della vecchia legge contro chi deturpa monumenti, ma molto critico con il recente provvedimento: «Un inasprimento delle pene non era giustificato, anche perché i danni non sono permanenti».

Eppure la nuova legge funziona, i risarcimenti corrono e il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano (destinatario dell’80 per cento dei fondi per il ripristino delle opere deturpate) non può che essere contento. «È bene che non paghino più gli italiani ma chi si rende responsabile dei danneggiamenti. Archeologi e storici dell’arte mi dicono che i marmi sono porosi e anche sostante di origine vegetale lascerebbero una traccia indelebile. La questione del cambiamento climatico è importante ma bisogna affrontarla con serietà, non danneggiando lo stesso ambiente. Perché i monumenti sono connaturati al paesaggio, ne sono parte integrante». «Adotta un disobbediente», era il claim sul sito di Ultima Generazione. L’invito era perentorio ed era accompagnato dal tariffario: 15 euro per sfamare l’eco-guerriero (quattro pasti vegani), 30 per pagargli il biglietto del treno con il quale spostarsi da un blitz all’altro, 50 per garantirgli l’alloggio (2 notti) dove pianificare nuove mirabolanti imprese, 100 per sostenere il fondo delle spese legali necessarie dopo le denunce. Ecco, non bastano più e il sistema è entrato in riserva. Strano perché seguendo il denaro si arriva ai forzieri dei miliardari americani che tengono in piedi il Climate Emergency Fund: Bill Gates, George Soros, i colossi delle energie alternative.

Ultima Generazione fa parte di A22 Network, finanziato dal Climate emergency fund fondato da Trevor Neilson, presidente di Wasterfuel che produce carburanti rinnovabili, e Aileen Getty, miliardaria ereditiera della Getty Oil, nipote del magnate del petrolio, che dalle colonne del New York Times moltiplicava «gli applausi per le azioni choc dei coraggiosi militanti che ci fanno svegliare e uscire dal torpore dello status quo». Sessant’anni e un patrimonio di 5,3 miliardi di dollari, la mecenate del Getty Museum di Los Angeles non ha certo problemi a pagare parcelle. Il pool sostenitore di A22 Network è composto da altri cognomi pesanti come Rory Kennedy, figlia di Bob senior, e Abigail Disney, pronipote dell’inconsapevole Walt. C’era una vita al caldo, prima delle collette. Ora la frenata è evidente, chi vive di «storytelling» ha capito che la narrazione è sbagliata e la rivoluzione dei rampolli upper class fa solo imbufalire il popolo. Dai figli dei fiori ai figli di papà. Il fallimento è arrivato con il rovesciamento della prospettiva. Durante l’ultimo sit-in a Londra un idraulico spazientito è sceso dal suo furgoncino e ha spostato di peso l’eco-guerriero in modalità Buddha, seduto a braccia conserte. La polizia è subito intervenuta per ammanettare e portare in caserma. Chi? La partita Iva britannica. Motivazione ufficiale: «Disturbava la protesta». Quel messaggio (per fortuna) non è passato.