Esiste un regionalismo di destra? Le nuove sfide che ci pone l’autonomia differenziata e il centralismo italiano
Esiste un regionalismo di destra? Nel 1859, tale era la situazione politica dell’Italia: Regno di Sardegna (Sardegna, Piemonte, Aosta, Savoia, Nizza, Liguria); Principato di Monaco; Regno Lombardo-Veneto (Lombardia, Veneto, parte del Friuli) e Alto Adige, Trentino, Gorizia, Trieste, Istria, Dalmazia, di fatto o di diritto annessi all’Austria; Ducato di Parma e Piacenza; Ducato di Modena con Massa; Granducato di Toscana con Lucca; Stato della Chiesa, con Ferrara, Bologna, Romagna, Marche, Umbria, Lazio fino a Sora; San Marino; Regno delle Due Sicilie con Meridione e Sicilia malamente unificati; Malta era inglese.
Erano tutti Stati sovrani come s’intendeva in Europa dal 1648; ma, dopo la ventata napoleonica, tutti Stati d’assetto centralista e senza regioni, e con la cancellazione delle innumerevoli autonomie medioevali. Nel 1861 e con i seguenti 1866, 1870 e 1918, e procedendo per annessioni al Regno di Sardegna subito dopo d’Italia, altro non si dovette fare che abolire le sovranità politiche, e ne risultò, da somme di piccoli Stati già centralisti, un Regno d’Italia centralista, distinto in Province amministrative senza alcuna autonomia. Che il prefetto di Catanzaro venisse nominato da Torino poi Firenze poi Roma, era lo stesso di quando era nominato da Napoli.
La storia delle vecchie province
A dire il vero, già allora sopra ogni cartina politica d’Italia le Regioni comparivano, ciascuna con un colore e dei confini e un capoluogo; ma era un’intenzione senza effetti pratici, e quasi sempre senza precedenti storici effettuali. Qualche burocrate individuò dei limiti geografici desunti da richiami da definire scolastici piuttosto che storici. In particolare, nel Meridione non c’erano mai state entità chiamate Campania o Puglia o Calabria, ma le Province determinate da Filippo II, poi modificate da Ferdinando I.
L’autonomia concessa alla Sicilia dopo il fascismo
La Sicilia, dopo i fatti e sanguinosi foschi del 1943-6, che è esatto considerare oscuri e misteriosi, ottenne un’autonomia che, se fosse presa sul serio (ma non avvenne, almeno per quanto ne sappiamo noi!), ne farebbe quasi un’entità federata: firmò gli atti dello Statuto il luogotenente poi re Umberto, e siamo a due anni prima che la costituzione repubblicana parlasse di Regioni. Seguirono le autonomie di Sardegna e Val d’ Aosta, e, per ragioni intrecciate a questioni internazionali anch’esse in larga parte in ombra, il Friuli e una Regione autonoma Trentino – Alto Adige, poi dissoltasi in due Province autonome.
L’istituzione delle Regioni nel 1970
Nel 1970 vennero istituite le Regioni “ordinarie”, il che avvenne alla grossa, e banalmente utilizzando le vecchie cartine colorate. È da questa frettolosa operazione che risultarono degli ircocervi disomogenei quali una Lombardia di dieci milioni di abitanti e una Calabria poco più di un milione e mezzo, e il Molise quanto un condominio.
Circa le istituzioni regionali ordinarie, altro non si escogitò che riprodurre in piccolo il sistema partitocratico nazionale del 1946-8; e fu grasso che cola se non si fecero due consigli a testa come ci sono a Roma due Camere! Sui risultati della mia Calabria stendo un velo… no, una pietra tombale sopra, se è, ufficialmente, l’ultima o giù di lì d’Europa, a causa di discutibilissima classe politica di ogni segno; con qualche riserva per gli anni dal 2022, ma aspettiamo il 2027 per il giudizio finale.
Esiste un regionalismo di destra?
Cosa si può fare, da destra, per un regionalismo che, del resto, è stato portato a compimento da un parlamento di destra-centro, con l’autonomia differenziata? Occorre un meridionalismo di destra, franco e sincero e sfacciato, mosso da un nicciano amor fati, e che non si faccia intimorire dal fronte… beh, meglio se omissis… e non solo di sinistra, fronte che si sta pateticamente battendo per affermare il diritto a vivere un giorno da pecora invece di leoni; e farà di tutto per difendere l’assistenzialismo diretto e indiretto della Prima repubblica (e Seconda!).
Bisogna battersi per un regionalismo genuino, a cominciare dalla storia. Ed ecco che dalla storia di cinque secoli che emerge la Regione Ausonia, (con le attuali Molise, Puglia, Basilicata, Campania e Calabria): per i cultori di storia, il “Reame” dal 1282 al 1816; sull’Abruzzo, sospendo la proposta, mentre la Sicilia sta bene com’è.
Occorrono istituzioni nuove
E occorrono istituzioni nuove e realmente autonome, e il meno possibile partitocratiche. Bastano un presidente, un consiglio di pochi membri, un apparato burocratico di ancora meno, e bravi con il computer: un bello sfoltimento di posti fissi, vero? Un centro direzionale che, in omaggio ai Normanni e a Federico II, io vedrei bene a Melfi……e già, bisognerebbe prima recuperare la storia meridionale, un oggetto misterioso per quasi tutti; e valorizzare la memoria per farne stimolo del futuro. La Tradizione non è antica, è senza tempo, eterna.
Tentativo di conclusione: il meridionalismo ufficiale è stato, quasi sempre, soggetto all’ideologia della “settentrionalizzazione” del Meridione, come se il Meridione fosse un Settentrione mancato; e invece è il Meridione, e, insegna il Vico, “i governi devono essere conformi alla natura dei popoli”. Ecco un meridionalismo di destra come operazione culturale, letteraria, cinematografica, e quindi anche politica. Speriamo di tornare presto sull’argomento.
L'articolo Esiste un regionalismo di destra? Le nuove sfide che ci pone l’autonomia differenziata e il centralismo italiano sembra essere il primo su Secolo d'Italia.