Overtourism? Sì grazie
Scusate, ma io sto con i turisti. Sto con il popolo in brachette e mocassini, persino con quelli in infradito. Sto con le masse dei gitanti, con la plebaglia dei pullman, con la folla che sbarca dai treni nelle città d’arte o sulle isole cercando uno sprazzo di bellezza dentro una vita che di miserie ne ha fin troppe. E, scusate, ve lo devo confessare, non ne posso più di quelli che si riempiono la bocca di «overturism», nuova parola d’ordine per le terrazze chic nell’estate 2024, l’eccesso di turismo, la «turistificazione» delle nostre città, come faremo signora mia, con tutti quei cafoni che vogliono anche loro guardare il tramonto a Capri. Non era meglio quando ci stavano solo le barche di Onassis e le feste con Luca Cordero di Montezemolo?
Scusate, ma io sto con i turisti. Si comportano male? Defecano sotto la cupola di ser Filippo Brunelleschi? Orinano al Ponte di Rialto? Trasformano le fontane di Roma in vasche per i pediluvi? Si intervenga: li si punisca. Chi sbaglia paga. Si pongano delle regole e si facciano rispettare. Ma smettiamola con questa sistematica demonizzazione, con la puzza sotto il naso, di tutti coloro che non possono permettersi vacanze sullo yacht in Polinesia e che approfittano dei pochi giorni di vacanze disponibili per andare a vedere bellezze artistiche o naturali nelle mete più raggiungibili.
In mezzo a loro ci sarà pure qualche buzzurro, si capisce. Ma per la maggior parte si tratta di persone perbene, si tratta dei nostri figli, di ragazzi amanti dell’arte, di signori appassionati di mare, di gente semplice che magari vive tutto l’anno in un palazzone di periferia. E ha diritto, almeno una volta l’anno, di riempirsi gli occhi e il cuore di qualcosa di meraviglioso senza per questo essere considerato un impostore.
Ma insomma che vogliamo fare a questi poveri turisti? Sono anni che il sistema economico va spingendo le persone a muoversi per il mondo, sono anni che pubblicizzano voli e traghetti, viaggi e crociere, sono anni che ci riempiono la testa con il fatto che il pianeta è diventato piccolo, che bisogna vedere, conoscere, imparare. Sono anni che esaltano la globalizzazione, gli Erasmus, gli Interail, e chi resta a casa viene dipinto come un povero cafone provinciale. E adesso che tutti (o quasi) hanno imparato la lezione, hanno capito quanto è bello vedere e conoscere, li trasformate in un male da estirpare? Ma perché? Già non è facile, oggi, fare il turista. Per ben che ti va ti spennano. C’è la tassa di soggiorno, la tassa di ingresso, i prezzi alle stelle, un caffè costa un occhio della testa, se mangi un panino devi fare un mutuo. E se poi uno supera tutto questo, ecco che arriva l’intellettuale del giorno che scrive il suo bell’editoriale sulla necessità di stroncare i turisti. Come se non fossero già abbastanza stroncati dal conto del ristorante.
Scusate, ma io non ci sto. Io sto con i turisti. Perché mi sembra che questa rivolta degli aristocratici di corte sia viziata da un profondo egoismo. Ho l’impressione che loro dai turisti vorrebbero solo il portafoglio, per poter continuare a vivere alle loro spalle, ma senza essere costretti a mescolarsi con «i lanzichenecchi» (copyright Alain Elkann) che hanno il vizio di non comprarsi l’abito di lino in sartoria ma vanno in giro con delle banali t-shirt. Signora mia, ha visto quanta gente a Firenze? E a Venezia? Che cosa aspettiamo a riservare gli Uffizi e piazza San Marco alle élite che sanno apprezzarli? Quando smetteremo di dare le perle di bellezza a quei porci di turisti?
Che dietro questo movimento contro i turisti ci sia qualcosa di ideologico lo dimostra lo slogan di chi protestava a Barcellona, una delle prime città ad avviare la rivolta dell’estate 2024: «Turists go home, refugees welcome», turisti a casa, immigrati benvenuti. Chiaro no? Va bene essere invasi dai clandestini, non dai vacanzieri. E pazienza se i primi vivono alle nostre spalle, mentre i secondi pagano caro anche quando vanno a fare pipì al bar: così vogliono «i nuovi intelligenti». Quelli come Mario Deaglio che sulla Stampa propone come soluzione al problema drammatico dell’overtourism la moltiplicazione delle rassegne letterarie. Come se non ce ne fossero già abbastanza.
Come se bisognasse introdurre una nuova barriera all’entrata nelle città d’arte: se compri i volumi della Adelphi allora puoi vedere Ponte Vecchio e la Fontana di Trevi, altrimenti te ne resti a marcire a casa. Perché le città aperte, moderne, democratiche e intelligenti, possono accogliere nelle loro piazze fiumi di nigeriani violenti e marocchini spacciatori. Ma l’operaio di Cinisello Balsamo no. Quello vorrà mica bivaccare in strada? Come si permette? Scusate, ma io sto con lui.