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Август
2024

Pancia e cervello parlano la stessa lingua (grazie ai batteri)

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Nel nostro intestino brulicano 29 trilioni di creature indispensabili. E non solo perché facilitano le funzioni fisiologiche: si è scoperto che influenzano i nostri stati d’animo.

Se pensiamo che il cervello decida in maniera libera e autonoma, ecco, sbagliamo. Numerosi studi sul microbiota, ossia sulla popolazione di batteri che vive felicemente nel nostro intestino, dimostrano che a influenzare d’animo e reazioni psicologiche sono proprio loro. Ed è bene che sia così. Per tante ragioni. Non siamo soli, nel nostro corpo. Non comandiamo noi, e forse non siamo nemmeno liberi di decidere se essere tristi o felici, iperattivi o annoiati. Perché c’è una legione di «Estranei», fortunatamente non aggressivi come quelli del Trono di Spade ma comunque influencer della nostra salute, che alloggiano nell’organismo. Soprattutto laggiù, nel nostro intestino: e dal confine dell’impero prendono iniziative che ci riguardano senza che noi possiamo intervenire per cambiare il corso degli eventi.

Queste creature - che sono molte di più delle cellule del corpo, battute per circa 39 trilioni a 30 - sono altro da noi, non hanno il nostro Dna, sono protozoi, funghi, batteri: una sorta di colonia aliena in grado di «parlare» al nostro cervello. Questa legione di batteri va a costituire il microbiota, uno dei terreni di ricerca più promettenti degli ultimi anni, con centinaia di trial che indagano su come e quanto questi microrganismi potrebbero aiutarci anche nella cura di malattie gravissime come le patologie psichiatriche o neurodegenerative. Ma come fanno, i piccoli «alieni» che compongono il microbiota a influenzare il cervello, apparentemente così lontano da loro, sede del pensiero, dell’empatia, del genio? In tanti modi: «Intestino e sistema nervoso centrale dialogano incessantemente in maniera bidirezionale» spiega Stefano Manera, medico chirurgo e autore del libro Cervello intestino. Un legame indissolubile (Macro Edizioni). «Questo avviene h/24, tramite vie di comunicazione complesse: attraverso il nervo vago, sorta di “cavo transoceanico” di connessione, poi attraverso i metaboliti, sostanze prodotte dai batteri e tra le quali alcune possono attraversare la barriera encefalica, e ancora con neurotrasmettitori e citochine. Possiamo riassumere dicendo che intestino e cervello parlano la stessa lingua».

Così, discorrendo tra loro, si influenzano a vicenda, provocando una catena di causa-effetto che si ripercuote sulla salute e sul benessere (o malessere) mentale e fisico. A livello empirico, è facile sperimentare, soprattutto sull’asse inverso, cioè dal cervello all’intestino: a tutti sarà capitato, quando si percepisce paura o ansia, avere un forte mal di pancia, per effetto della «reazione di attacco e fuga». Gli stati d’animo elaborati a livello cerebrale attivano subito il sistema nervoso enterico (spingendoci a cercare al più presto una toilette nei momenti più inopportuni). Le ricerche, al momento sugli animali, hanno mostrato che i «topi-bolla», ossia roditori allevati in ambienti sterili e privi di microbiota, sono più ansiosi e apatici di quelli con la popolazione di batteri intatta, che appaiono curiosi, socievoli e decisi a imparare cose nuove. Allo stesso tempo, i roditori ai quali venivano somministrati antibiotici - quindi con microbiota danneggiato - si dimostravano iperattivi e soggetti a comportamenti a rischio.

Molti di questi studi si effettuano negli Stati Uniti dal laboratorio coordinato da Elaine Hsiao dell’Università della California, che in un’intervista alla BBC ha spiegato che questi microrganismi potrebbero avere effetti in ogni ambito, dallo sviluppo del cervello fetale alla cognizione e a condizioni neurologiche come epilessia e depressione. Sono topi, certo: l’essere umano è infinitamente più complesso. Anche per questo la ricerca sta puntando a capire come e quanto questi batteri con «desiderio di comando» differenzino tra loro. I microbi che abitano i nostri corpi, infatti, non sono tutti uguali: «All’interno di una comunità di batteri così popolosa» prosegue Manera «c’è una sotto-comunità, una sorta di armata di élite, chiamata psicobioma: batteri specializzati con il compito di comunicare direttamente con il cervello. Si pensa che lavorando su questi specifici ceppi sia possibile intervenire su patologie come depressione, ansia e aspetti fobici. Potrebbe aprirsi la via per terapie integrate con psicobiotici, utilissime per chi non può assumere determinati psicofarmaci, ma anche per chi deve scalarli o a rischio dipendenza». Anche in Italia si lavora a studi molto importanti, tra cui ce n’è uno pubblicato sulla rivista scientifica internazionale Cell Reports, frutto di una collaborazione tra Università di Pisa, Scuola Normale Superiore e altri enti. «Ci siamo concentrati sulla plasticità cerebrale» illustra Paola Tognini, scienziata e docente del Centro di Ricerca interdisciplinare Health Science della Scuola Superiore Sant’Anna «cioè sulla capacità del cervello di cambiare rispetto agli stimoli che provengono dall’ambiente esterno e dall’esperienza. Il nostro cervello è più plastico in età giovanile, mentre da adulti risulta più resistente al cambiamento: abbiamo quindi cercato di capire se i segnali provenienti dai batteri presenti nel microbiota intestinale potessero in qualche modo “riattivare” la plasticità nel cervello adulto».

Anche stavolta gli scienziati hanno lavorato sui topi: si è visto che quelli allevati in gabbie stimolanti, ricche di giochi e di ruote, avevano un microbiota differente da quelli cresciuti in gabbie classiche, e mostravano una plasticità cerebrale tipica degli esemplari giovani, erano più attivi e aperti alle interazioni. Ma se privati del microbiota, questi effetti svanivano, suggerendo un chiaro influsso del potere dei batteri sulla loro mente. Questi studi potrebbero essere assai importanti: sarà possibile far ringiovanire un cervello manipolando i batteri dell’intestino? Riportare la nostra mente di adulti alla reattività e al desiderio di socializzare dei giovani?