Confiscati beni per un milione di euro a Giuseppe Sansone, l’imprenditore mafioso che costruì l’ultimo covo di Riina
Scatta la confisca per i beni di Giuseppe Sansone, imprenditore mafioso, esponente di una famiglia vicinissima a Totò Riina. Il provvedimento, emesso dal Tribunale di Palermo – Sezione Misure di Prevenzione, dispone la confisca dell’intero compendio di una azienda edile, di proprietà del figlio di Sansone. Sigilli su diversi rapporti finanziari e 6 autovetture per un valore di circa un milione di euro. Il procuratore e il questore di Palermo, Maurizio De Lucia e Maurizio Calvino, hanno chiesto per Sansone la sorveglianza speciale, con obbligo di soggiorno, per 4 anni e 6 mesi.
“La caratura criminale di Giuseppe Sansone, in atto detenuto, in qualità di esponente di spicco della famiglia mafiosa di Uditore, storicamente inserita nel mandamento mafioso di Passo di Rigano – Boccadifalco, emerge sin dagli anni Novanta, allorquando lo stesso è stato destinatario della sentenza irrevocabile di condanna per il reato di associazione di stampo mafioso– dicono gli investigatori – In particolare si rileva il suo ruolo di soggetto stabilmente inserito nel sistema di spartizione degli appalti dell’organizzazione mafiosa Cosa nostra, nonché di uomo di fiducia del boss Salvatore Riina per il quale si è messo a disposizione durante la sua latitanza anche come autista”.
Insieme al fratello Gaetano, Sansone ha costruito il complesso di villette di via Bernini, a Palermo, dove il 15 gennaio del 1993 venne arrestato il capo dei capi di Cosa nostra. L’ultimo covo di Riina, però, non era di proprietà dei Sansone, che l’avevano venduto alla Villa Antica Spa dell’ingegnere Giuseppe Montalbano. Secondo quanto ricostruito, è proprio seguendo i Sansone che i carabinieri del Ros arrivarono fino al covo di via Bernini, dove la mattina del 15 gennaio il pentito Balduccio Di Maggio riconosce Riina all’interno di un’auto che usciva dal cancello del complesso residenziale. Dopo l’arresto del boss di Corleone un altro pentito, Giovanni Brusca, ha raccontato di aver ordinato ai Sansone di far sparire tutto, di bruciare i vestiti e addirittura di usare alcuni operai edili per ristrutturare la villa che aveva ospitato Riina prima dell’arresto. Come è noto, infatti, la casa dove Riina viveva con la famiglia non fu perquisita subito, ma solo il 2 febbraio del 1993, 17 giorni dopo l’arresto del capo dei capi.
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