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Август
2024

Il medico udinese in missione fra il sangue e la disperazione di Gaza

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La quiete di una lettura: immersione fra spari, bombardamenti. Evasione, la guerra attorno. Fra quelle pagine storie imparagonabili a un quotidiano che sfida la fantasia, il reale. L’umano. Difficile infatti metter su carta l’orrore, le sofferenze: nero su un bianco intriso di rosso sangue. Il passatempo diviene così rifugio, hobby consigliato per mantenersi lucidi. Operativi. Il riposo, spesso effimero, quindi il servizio nell’ospedale da campo installato dalla Croce rossa internazionale a Rafah, a sud della Striscia di Gaza. Qui, fra tende adibite a pareti, a tetto, persino a fragile scudo, Stefano di Bartolomeo vive la sua missione, ogni giorno.

L’arrivo in zona di guerra

Per il 59enne udinese, anestesista rianimatore all’ospedale di San Daniele, l’arrivo in zona di guerra a fine luglio. L’entrata non semplice, articolata sfibrante. Volo ad Amman, il 22 luglio, via terra il passaggio in Israele: da qui le procedure, lunghissime, l’arrivo al valico di Kerem Shalom, altre ore di attesa, l’ok.

«A quel punto siamo riusciti a entrare – ci racconta di Bartolomeo, in collegamento WhatsApp, al termine di una giornata intensa, una fra le tante –, siamo saliti su un carro blindato delle Nazioni unite muniti di giubbotti antiproiettile ed elmetti. I vetri del mezzo erano già scheggiati, segno dei precedenti attacchi subiti. Ecco, quella è una cosa che mi è rimasta impressa».

Le precedenti missioni

Diverse le missioni a cui il medico ha fin qui preso parte: Eritrea, Sud Sudan, Birmania e Darfur passando per Siria, Yemen e Iraq. Un precedente a Gaza, nel 2020. «Il livello di distruzione, la prima volta, era minore: Israele faceva degli attacchi chirurgici per colpire le zone militari. Ora la battaglia è molto più dura. Il dramma sta nel fatto che parliamo di un’operazione militare all’interno di una struttura civile».

Mentre Hamas si nasconde in zone civili, Israele ordina l’evacuazione, poi agisce. L’afflusso di feriti, nei successivi frangenti, sfida nervi e prontezza del personale sanitario presente in loco: 230 persone, 200 i locali, 30 gli espatriati. Sessanta i posti letto.

Maxi-emergenze

Scatta così la maxi-emergenza: «Da quando sono qui ne abbiamo avute due». Arrivano i feriti, gravi. Gravissimi: «Arti penzolanti, se non mancanti». Sangue, lacrime e disperazione. «In queste occasioni è essenziale mantenere la calma, dare un ordine a questo caos».

Come? «I feriti vengono etichettati, letteralmente, in base alla gravità, a determinati criteri. Per le persone che non possono essere salvate si attiva una terapia palliativa. Le altre vengono stabilizzate in pronto soccorso e portate in sala operatoria». È lì ore su ore. A tutte le ore.

Il quotidiano

«In genere – spiega il medico –, ci si sveglia alle 7.30, per poi continuare fino al tardo pomeriggio. Nel poco tempo libero si tenta di recuperare le energie. Al momento però è davvero dura, anche per le persone più esperte».

Stanchezza, tanta. Paura? «Parlerei più di tensione. Chi si occupa della nostra sicurezza è in contatto costante con le forze armate israeliane, anche se proprio pochi giorni fa, qui vicino, sono scoppiati degli ordigni che hanno creato una situazione di estremo pericolo. Parliamo di decine di metri di distanza rispetto alla nostra struttura. La paura porta ad agire in sicurezza, ma non ci si può far dominare da essa. Per controllarla, io penso a quello che devo fare».

Forte, in questo caso, anche il ruolo giocato dalla motivazione: «Quando hai feriti su feriti che urlano, questa diventa fondamentale. Che la causa sia ottima lo vediamo in primis nella gratitudine che le persone ci dimostrano ogni giorno».

Le persone

Gente di tutti i giorni: studentesse, padri di famiglia. «Ho visitato una ragazza con dolori da arto fantasma. Parlava un inglese perfetto, aveva due master». Una vita stravolta. Una, migliaia.

I momenti di commozione, altrettanti: «Un ragazzo con otto figli è venuto qui con l’addome letteralmente squarciato. Tre giorni dopo l’operazione, l’ho visto passeggiare in cortile. Sono cose come queste che aiutano ad andare avanti. Ma anche vedere i colleghi locali, la loro dignità: persone la cui famiglia vive qui, nel pericolo, in zone senz’acqua».

Passatempi

«La Croce rossa raccomanda di avere degli svaghi per mantenere un equilibrio. Ahimè non è possibile passeggiare». Troppo pericoloso. Meglio rifugiarsi nella quiete di una lettura.