Pavia, cade dalla parete da arrampicata: il Cus deve risarcire 50mila euro
PAVIA. Aveva deciso di partecipare all’open day dell’ottobre 2021 per l’arrampicata sportiva alla palestra del Cus Pavia in via Bassi. Una donna però era caduta dall’altezza di tre metri procurandosi una brutta frattura. Un caso che è finito davanti al tribunale civile di Pavia che stabilito un risarcimento di oltre 51mila euro alla donna per i danni. Una sentenza di primo grado, quindi passibile d’appello.
La ricostruzione
La vicenda è accaduto nell’ottobre di tre anni fa, nel periodo in cui le attività sportive tentavano la ripresa dopo un anno e mezzo di pandemia Covid. Alla palestra del Cus i via Bassi era stata organizzata una giornata dimostrativa e gratuita di arrampicata sportiva, una delle tante discipline di cui si occupa il Cus Pavia storica società polisportiva della città.
Per l’occasione, come si evince dal carteggio del tribunale, era stata allestita una parete alta tre metri per provare l’arrampicata. Nella sentenza, del giudice civile Andrea Forcina, si spiega che «l’attività era stata svolta in assenza di imbragature anti caduta» e che la donna « in occasione di questa manifestazione sportiva durante la discesa è scivolata cadendo sui materassi sottostanti subendo una frattura trimalleolare della caviglia sinistra e del secondo e terzo metatarsi sinistro». Tanto che la donna, rappresentata in giudizio dall’avvocata Elona Lala di Bergamo, era stata portata al San Matteo ed operata alla caviglia.
Una perizia disposta dal tribunale di Pavia ha rilevato che «causa del sinistro la parte ha riportato un traumatismo contusivo-distorsivo della tibio-tarsica e del piede di sinistra che ha prodotto una frattura trimalleolare della caviglia sinistra, una frattura scomposta del malleolo tibiale mediale e posteriore e del terzo medio-distale diafisario di perone, nonché frattura plurilineare della base del secondo e terzo metatarso omolaterale», al punto che pochi giorni dopo era stato operata.
Un intervento che aveva richiesto l’inserimento di placche e viti. Le dimissioni dall’ospedale poi erano avvenute il 18 ottobre. La donna aveva tenuto le stampelle per 40 giorni, oltre ad assumere farmaci. Secondo quanto accertato dal medico legale allo stato attuale per la donna c’è ancora « una discreta limitazione articolare», ma anche «una limitazione al carico sull’arto inferiore di sinistra, sia in fase statica che dinamica». Quindi secondo il consulente medico legale la donna e «ha riportato una inabilità temporanea assoluta per 10 giorni e una inabilità temporanea al 75% per 60 giorni, al 50% per 40 giorni, al 25% per 60 giorni e un danno biologico permanente in misura del 11%». Da qui la richiesta di risarcimento della donna.
La società sportiva, rappresentata dall’avvocato Marzio Brazesco, si è difesa spiegando al giudice che per l’attività di prova arrampicata sportiva, secondo quanto stabilito dalla (Federazione Arrampicata Sportiva Italiana), «l’utilizzo della corda, dell’imbragatura e dei rinvii come mezzi di sicurezza durante l’arrampicata, sono previsti e obbligatori solo per strutture di altezza superiore ai 4,5 metri», nel caso finito al centro del processo civile a Pavia invece l’altezza della parete era di 3 metri e che per le pareti sotto i 4,5 metri la federazione prevede «come misura di sicurezza solo l’apposizione di materassi». Il giudice Forcina però ha ritenuto comunque la società responsabile del danno, da cui il calcolo del risarcimento che ammonta a 51.704 euro a cui si aggiungono oltre 8mila euro di spese legali. La difesa della donna vittima dell’incidente aveva chiesto un risarcimento maggiore: più di 64mila euro.