Scariche di sassi e dissesti in montagna: «Il clima ci farà cambiare i sentieri»
I dissesti in montagna che ogni anno possono mettere a repentaglio la pubblica incolumità in provincia di Belluno sono tra i 150 ed i 200. Di questi, almeno il 60 per cento, forse anche il 70, sono veri e propri crolli di pareti rocciose. È quanto risulta ai geologi che operano sulle Dolomiti, come attesta Luca Salti, tra i più autorevoli esperti in materia; conosce le montagne del territorio come le sue tasche.
I casi
L’ultimo si è verificato nei giorni scorsi sulla Croda Dei Toni, rendendo impraticabile il tradizionale sentiero tra il Rifugio Comici e il Carducci, attraverso Forcella Giralba. Immediatamente è stata tracciata dagli addetti al Parco l’alternativa che riscontrate nella foto qui a fianco, resa praticabile al massimo dagli operai.
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«Non è un sentiero ma un percorso poco agevole» comunica il rifugio Carducci, «ma da alcuni giorni molte persone lo hanno fatto senza grandi difficoltà. Forse non molto adatto ai bambini». Per Anselmo Cagnati, una vita professionale dedicata all’Arpav, alpinista e saggista, i cambiamenti climatici – che, con le temperature in progressivo rialzo e le sempre più forti precipitazioni, potrebbero essere all’origine di tanti distacchi – potrebbero alla lunga imporre una revisione dei sentieri più a rischio.
E così pure delle ferrate e dei percorsi attrezzati. Come, appunto, avvenuto tra il Comici ed il Carducci. «Aggiornare i sentieri per adattarli ai cambiamenti climatici? Nessun problema» risponde Renato Frigo, presidente regionale del Cai, «La sicurezza degli itinerari alpini è di competenza del sindaco del territorio. Quindi, se ci verrà segnalato un problema, lo affronteremo: ovviamente non per chiudere il sentiero, ma semmai per trovarne uno alternativo, lontano dagli eventuali pericoli».
I distacchi
Il Cai coordina oltre 4 mila km di sentieri in Veneto, di cui 2400 in provincia di Belluno. Ma perché tanti distacchi, o meglio così frequenti? «I crolli» afferma Salti, «ci sono sempre stati. Sono i fenomeni meno prevedibili. Non hanno stagionalità: che ci sia sole, pioggia, vento, acqua, avvengono quando la roccia improvvisamente si rompe. Si ha l’impressione che siano più frequenti solo perché, grazie ai social, le notizie si diffondo in tempo reale».
Continua l’esperto: «Se ci giriamo attorno, osserviamo ovunque dei ghiaioni. Sono il risultato di migliaia di anni di fenomeni di questo tipo. Il crollo, dunque, può venire col disgelo, con la pioggia e le raffiche di vento, ma anche in condizioni più tranquille: la roccia, per la forza di gravità, non sta mai ferma, è sempre in movimento».
Ma il permafrost, cioè il processo di congelamento che si alza sotto l’incalzare delle temperature sempre più alte, quale concausa può rappresentare? Minima, secondo Salti: «Il permafrost riguarda determinati ambienti di alta montagna, sotto i quali hai dei suoli che con il gelo e disgelo si muovo, ma non imputerei i crolli di roccia e la loro frequenza a questo processo». Pareti verticali di centinaia di metri, addirittura migliaia, sono soggette a fenomeni di gravità che si presentano in continuazione, a prescindere appunto dalla presenza del permafrost.
Comprese le pareti a sud, esposte sempre al sole: «Il crollo può dipendere sicuramente dalla pioggia che s’incunea nelle fratture» esemplifica il geologo, «lubrifica le superfici. Può essere legato al vento, alle quote più basse, soprattutto se ci sono alberi che fanno effetto vela. E può essere legato alle radici degli stessi alberi che con le radici amplificano le fratture fino a che queste si rompono. E perché non mettere in conto, in certe condizioni, anche l’animale pesante che transita su quella roccia. Ma il più delle volte – insiste l’esperto – è la sola gravità a determinare questi distacchi. Ripeto: la gravità lavora, non dorme mai, e a un certo punto la parete cade. Ma» aggiunge Salti, «non dimentichiamo il terremoto che in montagna rompe quelle porzioni di roccia che stavano in equilibrio instabile».
Il geologo ricorda, tra gli altri, i crolli che avvengono su pareti rocciose a bassa quota, lungo la strada 203 agordina, ad esempio, o lungo la provinciale che da Longarone porta in Val di Zoldo. In questi casi il permafrost non c’entra affatto. Resta da osservare che non ci si può proteggere dai crolli.
«O meglio» precisa Salti «le opere di protezione ci sono ma evidentemente vengono installate nei siti dove si concentra la pubblica incolumità. Sono improponibili sotto tutte le pareti dolomitiche. Per cui, quando si va in alta montagna ci deve essere la consapevolezza che si entra in un ambiente potenzialmente aggressivo».