“Serena Mollicone? Sappiamo chi è stato ad ucciderla, tutti hanno parlato”: la condanna del parroco di Arce dopo la sentenza sul delitto
“Sui social c’è gente che continua a dire: ‘C’è chi sa e non ha parlato’. No, qui hanno parlato tutti e detto quello che sapevano e hanno visto”: sono durissime parole di condanna quelle rilasciate a Famiglia Cristiana dal parroco di Arce don Angelo D’Anastasio rispetto al truce omicidio di Serena Mollicone, la 18enne che scomparve il primo giugno del 2001 da Arce, nel frusinate, ritrovata senza vita due giorni dopo in località Fontecupa. Imputati per la sua morte sono stati, lo ricordiamo, l’allora comandante dei carabinieri Franco Mottola, sua moglie Annamaria e suo figlio Marco, tutti assolti in primo grado e poi anche in appello, lo scorso 12 luglio. La corte d’appello ha dunque confermato l’assoluzione di Mottola padre, all’epoca comandante della stazione dei carabinieri di Arce, della moglie e del figlio. La famiglia Mollicone è stata condannata al pagamento delle spese legali. Ma a chi si riferisce il parroco quando dichiara che tutti hanno parlato?
I testimoni
Ripercorriamo a ritroso tutte le testimonianze sul delitto di Arce. Tra le ultime più significative c’è quella di Maria Pia Fraioli, la nipote del carrozziere Carmine Belli, protagonista sfortunato di questa tragica vicenda. Belli, lo ricordiamo, dichiarò di aver visto Serena la mattina del primo giugno al bar Chioppetelle litigare con un ragazzo che l’accusa identificò in Marco Mottola. Solo per aver rilasciato questa testimonianza il carrozziere fu accusato di essere l’assassino di Serena, e incarcerato per 17 mesi, prima di venire completamente scagionato. Lo scorso 29 aprile, la nipote di Belli ha dichiarato che il 2 giugno 2001, quando mostrò il volantino con la foto di Serena allo zio carrozziere, lui la riconobbe. Fu lei a invitare lo zio ad andare in caserma. Belli descrisse in anticipo anche gli abiti con cui fu ritrovata morta Serena, insieme alla borsetta mai più rinvenuta. Poi c’è il professor Fernando Ferrauti, responsabile dell’Asl di Frosinone, a cui alcuni suoi pazienti tossicodipendenti (da un’intervista alle Iene) gli avrebbero confessato che “il figlio del maresciallo Mottola era un pusher, e ha ucciso una ragazza che lo voleva rovinare”: Ferrauti allertò i carabinieri ma fu ignorato. Sempre lo scorso aprile, il carabiniere Massimo Polletta, in servizio al nucleo investigativo del comando provinciale di Frosinone ha dichiarato che “Ci sono anomalie nell’ordine di servizio del 1 giugno 2001” redatto dal maresciallo Vincenzo Quatrale e dal brigadiere Santino Tuzi, morto suicida.
Ci sono stati molti dubbi anche sul misterioso suicidio di Tuzi, ritrovato senza vita in una diga l’11 aprile del 2008. Santino Tuzi si è suicidato con un colpo di pistola. Questa almeno è la versione ufficiale ma la figlia e il suo migliore amico non hanno mai creduto al suicidio. All’epoca dissero loro che si era ammazzato perché la sua amante voleva troncare la relazione. Proprio alla sua amante Anna Rita Torriero, secondo un’intercettazione ambientale, Tuzi confessò le sue paure per aver piantonato la caserma il giorno in cui fu uccisa Serena Mollicone. Lo aveva rivelato pochi giorni prima di morire di averla vista entrare ma non uscire da lì.
Le accuse del parroco e dello zio
“Sappiamo chi è stato, una verità esiste”: questa è la dura condanna morale del parroco ed è difficile non ipotizzare a chi sia diretta. Sferzanti accuse alla famiglia Mottola sono state lanciate da Antonio Mollicone, lo zio di Serena, che ha rilasciato insieme al parroco forti dichiarazioni a Famiglia Cristiana. “Abbiamo portato fatti evidenti, eclatanti e concordanti, che non sono stati presi in considerazione”, ha spiegato Antonio Mollicone, che ha ereditato questa battaglia civile dal fratello Guglielmo, il padre di Serena, morto di crepacuore nel 2020 . C’è poco da interpretare, lo zio ha contestato di fatto la decisione dei giudici che a suo dire avrebbero ignorato molti fatti. “Per dirne un paio: una illustre botanica ha esaminato la fogliolina trovata su un calzino di Serena stabilendo che non proveniva dal bosco in cui venne ritrovato il cadavere, ma dall’area più arida e secca dove si trova la caserma dei carabinieri. E poi c’è la borsetta di Serena, mai ritrovata, e che sicuramente è in possesso dell’assassino o degli assassini, perché ci sono testimoni che hanno riferito che mia nipote la mattina della scomparsa ce l’aveva…”. Antonio Mollicone ha aggiunto che la famiglia andrà avanti e continuerà “la battaglia legale per stabilire chi l’ha uccisa. Lei era turbata dalla droga che circolava nel paese e diceva che le istituzioni erano assenti”.
L’ipotesi dell’accusa
I magistrati romani avevano chiesto condanne superiori ai venti anni per i Mottola perché secondo le loro indagini Serena sarebbe stata uccisa all’interno della caserma di Arce, urtando violentemente la testa su una porta. Secondo l’accusa, Serena quel giorno sarebbe entrata in caserma ad Arce dove probabilmente è morta dopo una violenta lite, per denunciare lo spaccio di droga messo in piedi da Mottola: questa almeno è la loro ipotesi. I pm hanno sempre sostenuto che dopo sarebbe stata trasportata nel boschetto dove fu ritrovata senza vita il 3 giugno del 2001. Una ricostruzione che i giudici d’appello non hanno ritenuto credibile. Si attendono ora le motivazioni della sentenza.
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