Bambini in carcere con le madri detenute, il governo non cede sulle misure alternative. Gli esperti: “Compressi i diritti dei minori”
Pene più dure per le madri, anche se questo comporta danni permanenti sui figli molto piccoli. La maggioranza di governo non cede di un millimetro sulle misure alternative per le detenute con bambini al seguito. I partiti di opposizione avevano presentato una serie di emenandamenti in commissione Giustizia al Senato per finanziare le case famiglie protette e potenziare gli Istituti a custodia attenutata per le madri (Icam), ma martedì 23 luglio hanno abbandonato il tavolo accusando una “mancanza di confronto”. Eppure, proprio Forza Italia e Lega in passato avevano mostrato aperture, tanto che nel 2022 hanno votato a favore della proposta di legge Siani sulle case protette (poi fallita). Una linea che era già stata abbandonata con il sostegno al disegno di legge Sicurezza, con il quale la maggioranza vuole rendere facoltativo il differimento della pena – oggi obbligatorio – per le detenute madri con figli piccoli. Le forze di minoranza speravano in un ravvedimento, ma con la chiusura in Senato si è di fatto sbarrata la strada a qualunque minima apertura. E mentre ancora si discutono gli interventi in Parlamento, intanto i fatti dimostrano che già viene concesso facilmente il carcere alle madri detenute con figli piccoli: risale a pochi giorni fa la storia del bimbo di due anni e mezzo che, come rivelato da Repubblica, recluso nella sezione nido del carcere di Rebibbia, “ha maturato un ritardo nello sviluppo psico-motorio”. Il piccolo non dovrebbe trovarsi lì, ma in una casa protetta o in un Icam, cioè le due opzioni da prediligere secondo la legge in vigore (62/2011). Eppure, finora il carcere continua a essere la prima scelta, a prescindere dalla tutela dell’interesse del minore.
L’ultimo caso – Chiuso da circa un anno a Rebibbia con la madre, il bimbo di due anni e mezzo è sovrappeso, non corre, fatica a socializzare con gli altri e le parole che utilizza di più sono “apri” e “chiudi”. Nei bambini che trascorrono i primi anni di vita in carcere questo è un vocabolario standard. Gli operatori raccontano spesso che i bimbi ristretti chiamano “zii” agenti e commissari, sognano il suono delle chiavi nelle grate, mentono ai loro compagni di asilo o di scuola per non dire dove vivono. Questo genera preoccupazione per la crescita sana del minore. “L’esecuzione della pena – dice a ilfattoquotidiano.it Gemma Tuccillo, magistrata in quiescenza e capo dipartimento per la Giustizia minorile e di comunità fino al gennaio 2023 – deve mirare al reinserimento sociale, non può e non deve tradursi nella compressione dei diritti fondamentali dei figli della persona detenuta”. Ristretto con la mamma da dieci mesi, per il bambino è stato chiesto e ottenuto il trasferimento in una casa protetta quasi subito dopo l’ingresso a Rebibbia. Tuttavia, da quanto si apprende, la posizione giuridica della madre – in parte ancora sotto indagine – non consentirebbe al momento l’uscita da un istituto penitenziario senza rischi per il processo. “Sapevamo di questa situazione – racconta a ilfattoquotidiano.it la Garante per i diritti dei detenuti del Comune di Roma Valentina Calderone – cerchiamo di monitorarla. Nessun bambino dovrebbe rimanere in un carcere così a lungo ma è una condizione complicata, che coinvolge diverse autorità, da chi coordina le indagini al tribunale dei minori ai servizi sociali”. La difficoltà sta sempre nel conciliare la certezza della pena e del processo con la crescita sana del bambino. La casa protetta di Roma, Casa di Leda, una delle uniche due presenti in Italia, aveva dato già mesi fa la disponibilità ad accogliere il bambino e la mamma, tuttavia finora ha prevalso la sicurezza, a dimostrazione che la legge attuale già consente ai giudici di avvalersi del carcere. “Il nostro auspicio è che si trovi una soluzione per i domiciliari, anche in una casa protetta – dice a ilfattoquotidiano.it Stefano Anastasia, garante per i diritti dei detenuti della regione Lazio – per il momento attendiamo le valutazioni della magistratura”.
Il carcere è già la prima scelta – Per un caso come quello di Rebibbia, che ha entrambi i genitori in prigione contemporaneamente, la soluzione sulla carta sarebbe un Icam. Tuttavia, in Italia ne esistono solo cinque e quello più vicino a Roma si trova a Lauro, a circa 230 km da Rebibbia. Sceglierlo significa recidere i rapporti già limitati con gli affetti. Anche per questo motivo la sezione nido di Rebibbia – che pure ha ridotto il numero di presenze nel nido da una media di dieci bambini intorno al 2020 ai tre di oggi – continua a non spopolarsi. Per investire in strutture adeguate come case protette e Icam era nata la proposta di legge a prima firma Siani nel 2019, approvata in prima istanza alla Camera, poi naufragata con la caduta del governo Draghi e ripresentata all’inizio dell’esecutivo Meloni da Debora Serracchiani (Pd), che ha scelto di ritirarla perché gli emendamenti proposti dal centrodestra snaturavano quel provvedimento. Ora il testo giace in un cassetto, e il decreto Carcere non interviene con misure alternative specifiche, che infatti le opposizioni avevano chiesto di inserire in Senato. “Bocciando 200 emendamenti in blocco, il centrodestra non comprende il dramma che si sta consumando nei penitenziari italiani e dimostra insensibilità sui bambini in carcere – dice all’indomani della rottura in Senato a ilfattoquotidiano.it il dem Walter Verini, tra i primi firmatari insieme a Siani della proposta del 2019 – Riproporremo questo tema di civiltà, sebbene al momento da parte della maggioranza ci sia un atteggiamento di grave irresponsabilità”. Nel frattempo, aleggia l’ombra del pacchetto sicurezza. Secondo alcune indiscrezioni, la maggioranza è divisa sulle norme che riguardano le madri. Le opposizioni sperano che il ddl finisca nell’oblio, ma tra i continui rinvii la discussione continua verso l’inasprimento delle misure. “Perfino con il codice Rocco era applicato il differimento della pena per le donne incinte e le madri con figli piccolissimi, questo governo vuole essere ancora più securitario”, commenta a ilfattoquotidiano.it Lillo Di Mauro, fondatore ed ex presidente della Casa di Leda.
L’effetto del carcere sui bambini – Come dimostra da ultimo il caso del bambino di due anni, però la detenzione in carcere non tutela a sufficienza l’interesse del minore, che vive i primissimi anni in una condizione di disparità rispetto ai coetanei. “Dai sei mesi in poi, per svilupparsi, ogni bambino ha bisogno di fare esperienze e avere intorno una comunità che lo accolga, lo stimoli e gli crei dei ricordi – spiega Paolo Siani, pediatra ed ex parlamentare, promotore della proposta di legge per potenziare le case protette – il carcere è un ambiente troppo restrittivo, che influenza negativamente la crescita del suo cervello”. Nelle sezioni nido i bambini sono ammessi fino al compimento dei tre anni, quindi tra poco anche per Giacomo si troverà una soluzione obbligata, ma i momenti vissuti finora restano. “Preoccupa anche il senso di complicità che si crea in un bimbo così piccolo davanti a una situazione tanto anomala come quella del carcere – spiega la magistrata Tuccillo – Ha difficoltà a confrontarsi con i pari, apprende modalità di relazione che non sono quelle di un ambiente libero, non vive il rapporto con cugini o fratelli della stessa età, spesso mente ai coetanei per non dire che la sua famiglia è in carcere e crescendo può anche allontanarsi dalla madre per aver vissuto tutto questo”. A inizio luglio le commissioni congiunte Affari Costituzionali e Giustizia della Camera hanno bocciato tutti gli emendamenti all’articolo 12 del ddl sicurezza, che renderebbe facoltativo il rinvio della pena per le donne in gravidanza e le madri con figli minori di un anno. Senza investimenti nelle strutture protette e con la chiusura agli emendamenti al dl carceri in Senato, le sezioni nido delle carceri torneranno a riempirsi.
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