Ma come sta messa realmente Dazn?
La copertina è patinata, ma sembra essere quella di Linus. Da mesi si parla incessantemente di una crisi economico-finanziaria di Dazn. L’emittente OTT sembra aver fatto il passo più lungo della gamba con l’acquisizione (fino al 2029) dei diritti in esclusiva (o quasi) della Serie A e i nodi stanno venendo al pettine. Dopo i problemi iniziali di trasmissione, quelli evidenti fin dalla sua comparsa sul mercato italiano e proseguiti anche all’inizio dell’esperienza di titolare dei diritti audiovisivi del massimo campionato di calcio italiano, ci sono stati moltissimi investimenti. Ma il reale ritorno economico non sembra andare alla stessa velocità.
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L’ultima notizia è quella relativa agli esuberi: 14 giornalisti su 32 assunti da Dazn rischiano il licenziamento. E la conseguenza, confermata, è la progressiva scomparsa del ruolo del bordocampista: a partire dall’inizio della prossima stagione, solamente 5 partite su 10 a giornata vedranno un giornalista a bordo campo per raccontare quel che accade sulle panchine (e non solo). Ma non è solo questo a sintetizzare la crisi Dazn.
Crisi Dazn, il modello è realmente sostenibile?
Perché mentre da San Siro i CEO di Dazn Group e di Dazn Italia rassicuravano sul futuro, parlando di Italia come Paese in cui investire (per quel che riguarda il calcio), è diventata ufficiale la questione degli esuberi. E se è vero l’annuncio di new entry e i ruoli sempre più predominanti di alcuni personaggi – vedi Diletta Leotta -, il contorno è tutt’altro che roseo. Come avevamo raccontato un mese fa, la piattaforma OTT non trasmetterà più le partite delle Coppe Europee: fino alla scorsa stagione, gli abbonati potevano assistere ai match delle italiane (e non solo) in Europa League e Conference League, ma da quest’anno saranno in esclusiva su Sky (e non saranno neanche trasmesse in chiaro).
A tutto ciò si aggiunge l’aumento del prezzo degli abbonamenti, con un costo che arriva a toccare i 150 euro in più rispetto alla precedente stagione. Insomma, si tenta così di colmare quella distanza con il break even point (il punto di pareggio) mancato nel corso degli anni precedenti. Perché le persone (e non solo per “colpa” del pezzotto), si stanno disaffezionando al calcio, visti i costi proibitivi per poter assistere a tutte le partite della propria squadra del cuore e la giungla di abbonamenti per avere un quadro totale della situazione.
L’inflazione inflazionata
Aumentare i prezzi dei beni e servizi non è mai la soluzione, soprattutto leggendo i dati dell’inflazione che spingono gli italiani a fare delle scelte. E, nella maggior parte dei casi, la decisione è quella di rinunciare all’abbonamento a una pay-tv per guardare il calcio. Dunque, la mossa di Dazn potrebbe non portare frutti. Anzi, allontanare ancor di più gli utenti-tifosi, con conseguenze sanguinose per l’azienda e per chi ci lavora dentro.
L’ultimo indizio sulla crisi Dazn è emerso nei giorni scorsi. Prima della serata-show di San Siro, la piattaforma OTT avrebbe chiesto alla Lega Serie A di dilazionare un mini-versamento (da 60 milioni di euro) che – stando agli accordi del bando per l’assegnazione dei diritti di trasmissione audiovisiva – l’azienda deve pagare prima dell’inizio della stagione. Non si tratta di soldi relativi al pagamento rivolto ai singoli club, ma di una parte di fondi che la Serie A accantona prima dell’inizio dei campionati per destinarli al “fondo paracadute” per i club che verranno retrocessi in Serie B. Il motivo della richiesta di dilazione? A giugno e luglio molti utenti disdicono l’abbonamento, prima di farlo ripartire all’inizio del campionato. Insomma, a livello economico è un periodo di incertezze per quel che riguarda i “flussi di cassa”. Sta di fatto che questo indizio, unito agli altri, sembra formare una prova sempre più consistente di problemi strutturali.
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