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Июль
2024

Morto il fisiatra Luigi Lovati, per vent’anni è stato primario al Gervasutta di Udine

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UDINE. È stato un pilastro della riabilitazione, fra i primi in Italia ad abbinare alle tecniche fisiatriche più classiche l’espressione artistica, che aveva portato all’interno del Gervasutta riempiendo di colore ed estro espressivo i corridoi del suo reparto.

Se n’è andato a 92 anni il dottor Luigi Lovati, per un ventennio primario della fisiatria dell’istituto udinese di medicina fisica e riabilitazione.

Nato ad Abbiate Grasso, il dottor Lovati è stato il più grande esponente italiano di medicina manuale, specialità che ha consegnato nelle mani del figlio Luca con il quale, una volta andato in quiescenza, aveva aperto uno studio di medicina manuale dove ha lavorato fino a oltre 80 anni. «Lui è stato la mia musa ispiratrice e il mentore – ha raccontato ieri il figlio –. Ho seguito pari pari tutte le sue orme, sono figlio d’arte.

Lovati lascia la moglie Antonietta e i figli Laura e Luca, i suoi funerali saranno celebrati giovedì 4 luglio, alle 17, nella chiesa di Santa Maria del Gruagno.

Dopo una breve parentesi da cronista (collaborava con il Corriere Lombardo), Lovati si era iscritto alla facoltà di Medicina a Milano, «laureandosi in due specialità – fa sapere ancora il figlio – medicina del lavoro e medicina fisica e riabilitazione». Si era quindi spostato in Francia, a Rennes, dove aveva conseguito il diploma in medicine manuel orthopédique et ostéopathique diventando successivamente membro della Société française de médecine manuelle orthopédique et ostéopathique e del Groupement d’etudes des manipulations de l’ouest de la France.

In Friuli era arrivato, come tanti, per la leva, che ad Amaro gli aveva fatto conoscere Antonietta Zanella, sua futura moglie e madre dei suoi figli.

Medico di base a Reana prima e professore a contratto all’Università di Trieste (dal ’74 al ’99) poi, il dottor Lovati era entrato all’ospedale civile di Udine da aiuto per poi diventare primario di fisiatria del Gervasutta nel 1980 dov’è rimasto fino alla pensione nel 1999. Ed è proprio lì che ha lasciato la sua impronta, la sua più grande eredità e un ricordo diffuso e pieno di affetto tra i pazienti e le famiglie che hanno beneficiato della sua professionalità.

Al Gervasutta, evidenzia ancora il figlio, aveva introdotto «l’utilizzo dell’arte come terapia occupazionale per i pazienti paraplegici e teraplegici, le cui opere poi esponeva in reparto . Era del resto un grande appassionato di pinacoteche e musei. A 14 anni mi aveva già fatto vedere Prado, Louvre, il museo del Cairo e quelli di Vienna».

Al colore dei quadri di cui amava riempire il reparto si accompagnavano il suo sorriso e l’immancabile papillion. «Era un uomo solare e divertente – ha detto ancora di lui ieri il figlio Luca –. Non di rado si presentava in reparto mascherato per non farsi riconoscere».