Poster anonimi in Kosovo: si alza la tensione con i serbi
BELGRADO. Per capire quanto delicati e fragili siano gli equilibri nei Balcani e come tutto diventi occasione per accendere gli animi, basta la diatriba innescata da un poster, banale solo all’apparenza. Diatriba che riguarda il nord del Kosovo, a maggioranza serba, area che rimane una polveriera pronta a saltare in aria alla prima seria provocazione.
E di provocazione si può sicuramente parlare a proposito di misteriosi poster, con protagonista il presidente serbo Aleksandar Vučić, che sono spuntati come funghi sui muri da Mitrovica nord a Leposavić, passando per Zubin Potok e Zvečan. Senza firma e senza alcun logo o simbolo, ritraggono Vučić che passa in rassegna un reparto dell’esercito serbo, i cui soldati indossano l’elmetto, armati fino ai denti. Ancora più esplicativo lo slogan, scritto in caratteri cirillici rossi, a corredo dell’immagine: «Alto comandante (ossia Vučić, ndr), ti aspettiamo in Kosovo!».
Chi c’è dietro l’iniziativa? E che fine ha? Impossibile saperlo con certezza, ma i poster hanno avuto enorme eco, lasciando interdetti gli stessi serbi del Kosovo e la maggioranza albanese. Sul tavolo, varie ipotesi: da quella di un’azione propagandistica, senza secondi fini, a un messaggio-avvertimento simile a quello dei murales «Quando l’esercito ritorna in Kosovo», che erano apparsi in Serbia e nel nord del Kosovo curiosamente prima dell’azione sanguinosa dei paramilitari serbi a Banjska. In quell’occasione, tre paramilitari rimasero uccisi, oltre a un agente della polizia kosovara. Pristina, da mesi, denuncia che un simile attacco sarebbe nuovamente in cantiere. Belgrado, di rimando, ha più volte seccamente smentito.
I poster-appello allo sbarco di Vučić tra i serbi del Kosovo sono stati accolti con rabbia da Pristina, che ha reagito con inedita durezza. Se Vučić dovesse decidere di rispondere alla chiamata e «venire in Kosovo senza il permesso del nostro ministero degli Esteri, lo aspetteremo e poi lo potrete visitare in galera, dove già ora ci sono alcuni suoi amici», la pesante ammonizione del ministro degli Interni del Kosovo, Xhelal Sveçla, lanciata via Facebook e sostenuta da migliaia di like. «Così si parla alle iene! » , «con permesso o senza, Vučić non deve permettersi di venire nella terra» dove i serbi hanno fatto «tante vittime» negli anni di Milošević, il tenore dei messaggi di sostegno al ministro.
Nel frattempo, la polizia del Kosovo ha fatto sapere di aver avviato un’inchiesta per «incitamento all’odio», mentre le autorità sono impegnate a rimuovere i poster della discordia, apparsi durante il weekend. Parole di Sveçla che, sul fronte serbo, sono state interpretate come un insulto gravissimo, con alcune delle massime cariche istituzionali scese in campo a difendere Vučić.
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Le minacce del ministro kosovaro «sono solo l’ennesima prova dell’altissimo livello di invidia e odio che domina la politica di Kurti» (il premier kosovaro) il fendente del primo ministro serbo, Miloš Vučević. Invidia, ha aggiunto, perché a Pristina «non hanno e non avranno mai un politico dalle capacità e dalla forza intellettuale e morale di Vučić».
I messaggi sull’arresto minacciato di Vučić riguardano «tutti i serbi del Kosovo. L’obiettivo è quello di arrestarli e mandarli via, vogliono ripulire etnicamente il Kosovo e la Metohija», le gravi parole dell’omologo serbo di Sveçla, Ivica Dačić, lanciate all’inizio di un’estate che si prospetta caldissima.