«La Sindone è un falso medievale»: il chimico Luigi Garlaschelli lo spiega in un libro
«Sono pronto a lanciare una scommessa: se rifacessimo l’esame del Carbonio-14 alla Sindone avremmo, a 40 anni dalla prima volta, ancora lo stesso risultato: la conferma che è di epoca medievale».
Luigi Garlaschelli – pavese, chimico e divulgatore scientifico, storico socio del Cicap, già docente all’Università di Pavia e al San Raffaele di Milano – non ha dubbi.
“Cacciatore” di fenomeni paranormali, pseudoscienze e misteri vari (dal miracolo di San Gennaro alla Spada nella roccia), torna - a distanza di 30 anni - su un’indagine che aveva già condotto.
E lo fa con un nuovo libro, Sindone. Tutta la verità sull’immagine più misteriosa e controversa del mondo (edizioni Dedalo) in cui mette in fila le teorie pro e contro l’autenticità del lino che, per i credenti, avrebbe avvolto il corpo di Gesù deposto dalla croce.
Aggiorna il lettore sulle ricerche recenti, snocciola numeri e dati formulati nei decenni da colleghi scienziati in varie parti del mondo. «Per consentire a chiunque – dice – di esprimere, finalmente un giudizio informato».
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Professor Garlaschelli, nel 1998 ha pubblicato “Processo alla Sindone”. Cosa c’è di nuovo?
«Non tanto qualcosa di nuovo quanto il desiderio di fare chiarezza. Dieci anni fa Andrea Nicolotti, docente al Dipartimento di Studi Storici dell'Università di Torino, ha pubblicato un volume di quasi 400 pagine documentatissimo, una sorta di Bibbia sulla Sindone. Un testo dotto. Ho pensato ci volesse qualcosa di più accessibile, divulgativo e ho cercato di mettere in fila tutta la storia, le indagini condotte finora e come sono state interpretate, o distorte, dai cosidetti “autenticisti”. Aleggia su questo caso molta pseudoscienza».
Cominciamo proprio dall’analisi del radiocarbonio, C’è chi lo considera un metodo superato.
«E si sbaglia. E’ stato fatto di tutto per sminuirlo ma rimane l’unico strumento assoluto e affidabile per datare reperti organici. Punta dritto al nucleo dell’atomo. Da lì non si scappa. Fu sviluppato dall’americano Libby che per questo ricevette il Nobel per la Chimica nel 1960. E’ usato quotidianamente dagli archeologi. E nel 1988 fu impiegato per la Sindone dai tre laboratori migliori al mondo: Tucson, Oxford e Zurigo».
Quale fu il responso?
«Datarono il telo tra il 1260 e il 1390. E per molti studiosi questo risultato chiuse il dibattito. Tuttavia altri esperti rimangono convinti che sia stato davvero il sudario di Cristo o che perlomeno risalga al I secolo d.C. sulla base di prove di altro genere».
E quali sono?
«Nel 1978 una commissione internazionale esaminò la Sindone per 5 giorni. E stabilì che in nessun modo sarebbe stato possibile realizzare una raffigurazione tridimensionale come quella rivelata dal computer; che non si trattava di immagine pittorica e che le macchie sono di sangue e non sono superficiali».
In conclusione l’origine rimaneva un mistero.
«Anche se un lavoro autorevole del 1982 ipotizzava che l’immagine fosse una striatura prodotta ad arte c’era ancora chi ricorreva a spiegazioni miracolistiche come un fiotto di radiazioni al momento della resurrezione».
Ha provato anche lei a riprodurre la Sindone, o sbaglio?
«Avevo costruito a Pavia la “macchina per fare le sindoni”, mi aveva aiutato nella realizzazione Claudio Marciano, tecnico del dipartimento di Chimica ora in pensione. L’ho tenuta per anni nella mia bat-caverna in Oltrepo ma da un decennio è qui con me a Treviso».
E quale fu il risultato?
«Avevamo utilizzato un telo di lino tessuto a spina di pesce e con le stesse caratteristiche della Sindone. La simulazione per il corpo l’ho fatta utilizzando un mio dottorando dipinto di polvere d’ocra. Per il volto invece abbiamo fabbricato un bassorilievo di gesso. Nella “macchina” abbiamo accelerato il processo di invecchiamento che altrimenti avrebbe richiestro troppo tempo. Il risultato aveva l’aspetto della Sindone forse come quando fu appena confezionata».
Quindi lo dà per cento che sia andata così anche nel Medioevo. Un falso.
«Nel memoriale di Pierre d’Arcis, del 1389, la Sindone viene descritta come un telo “raffigurato con artifizio, su cui in modo abile è stata realizzata l’immagine duplice di un solo uomo”. E d’Arcis sostiene di conoscerne l’autore. Cosa dire d’altro se non che non ci sia una sola cosa coerente nella datazione a favore del I secolo? Dalla composizione del tessuto, diverso da quello dell’epoca in Palestina, alla posizione delle mani che, in un morto, sarebbe diversa oppure dovrebbero essere state legate e invece non c’è traccia di alcuna corda impressa nel sudario».