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Perché non sono d’accordo con la scena muta delle tre studentesse alla maturità

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Perché non sono d’accordo con la scena muta delle tre studentesse alla maturità

Non avrei mai pensato di essere d’accordo con la ex assessora di lungo corso alle politiche scolastiche del Veneto, arci conservatrice e oscurantista, Elena Donazzan, ora parlamentare europea. Donazzan ha condannato il comportamento delle tre studentesse ribelli e chiesto una qualche forma di punizione. Condivido questa sua tesi anche se con delle argomentazioni diverse. La […]

L'articolo Perché non sono d’accordo con la scena muta delle tre studentesse alla maturità proviene da Il Fatto Quotidiano.

Non avrei mai pensato di essere d’accordo con la ex assessora di lungo corso alle politiche scolastiche del Veneto, arci conservatrice e oscurantista, Elena Donazzan, ora parlamentare europea. Donazzan ha condannato il comportamento delle tre studentesse ribelli e chiesto una qualche forma di punizione. Condivido questa sua tesi anche se con delle argomentazioni diverse. La reazionaria Donazzan vede la scuola come una caserma dove gli studenti e le studentesse devono essere sempre dei soldatini obbedienti. Appartenendo il sottoscritto alla parrocchia opposta, mi sento invece di entrare nel merito. Le studentesse sono vittime, non tanto innocenti, dell’ideologia perniciosa del voto come unica cosa che conta del percorso scolastico.

In questa valutazione sono aiutato dal fatto che per molti anni sono stato presidente di Commissione degli esami di Stato, quelli che i giornalisti definiscono di maturità. È inevitabile che nella commissione ci siano sempre delle tensioni. Spetta al presidente tener conto dei vari elementi presenti, soprattutto psicologici, e portare l’esame verso una navigazione tranquilla senza far dimenticare che l’esame è pur sempre un esame. Evidentemente questo non è successo nel caso in questione. Quindi direi che, prima di tutto, la responsabilità del pasticcio è del presidente e dei singoli commissari che non hanno svolto un buon lavoro.

Le studentesse, evidentemente insoddisfatte della valutazione della versione di greco che ha precluso loro l’agognato paradiso dei 90 punti o più, potevano legittimamente fare scena muta all’esame orale. Quello che non è accettabile è la lettura di un comunicato con il quale hanno di fatto delegittimato la commissione. Un gesto eclatante che ha preso il posto dei normali rimedi giuridici, come ad esempio un bel ricorso al Tar che ormai le famiglie non si negano. Famiglie magari facoltose, che possono spendere 3-4mila euro per difendere a posteriori la supposta dignità scolastica della prole.

Al di là di questo, sono le motivazioni delle studentesse che mi hanno fortemente deluso e amareggiato. Il comunicato letto mostra il fallimento dell’educazione, e non solo quella scolastica, sotto un aspetto diverso. Nella loro banale critica al sistema dell’esame di Stato, le studentesse hanno portato avanti principalmente due argomentazioni che dimostrano la loro scarsa maturità. La prima è quella dell’impegno come garanzia del risultato. Secondo la loro visione, non avrebbero dovuto ricevere una valutazione bassa perché si erano impegnate tanto nel triennio, come pure per la prova finale. Intanto, osservo che l’impegno nel triennio è già remunerato, fin troppo generosamente, nei 40 punti di credito. Ma soprattutto le liceali non hanno saputo distinguere tra condizione necessaria e sufficiente. Non basta infatti l’impegno a garantire il risultato. A volte il forte impegno porta a risultati modesti e viceversa. L’esame ha sempre un coefficiente di aleatorietà che bisogna accettare, nel bene e nel male.

La seconda argomentazione è ancora più sbagliata. Le studentesse hanno criticato il voto basso perché sarebbe un fattore di umiliazione, un’offesa alla loro persona. Mi sembra impossibile che ancora oggi ci sia qualcuno che sostiene questa visione moralistica del voto. La valutazione di una prova non misura in nessun modo le qualità personali, ma solo la preparazione puntuale in un dato momento. Il cosiddetto fallimento, il voto che non risponde alle tue aspettative, va accettato per quello che è, e non enfatizzato come uno stigma morale. Nel prendere un 65 su 100 all’esame di Stato, come accade per migliaia di studenti ogni anno, non c’è nessuna umiliazione, anche se magari non si è molto contenti.

Le studentesse possono essere perdonate, per ovvi motivi. Invece non possono essere perdonati i registi occulti, passivi o attivi, di questa offesa alla scuola come istituzione, cioè i genitori. Mi pare abbastanza improbabile che le studentesse abbiano potuto pensare a questa iniziativa senza il supporto o l’incoraggiamento delle famiglie. I genitori avrebbero dovuto smorzare il ribellismo dei figli e non alimentarlo, facendo così un pessimo servizio alla scuola italiana che adesso potrà essere contestata da studenti presuntuosi che, avendo fatto un mediocre scritto, possono giustificare il basso voto alla maturità con una nobile protesta civica.

Da ultimo, il ministro del merito dov’è? Da un moralista seriale come Valditara ci si attendeva un intervento immediato di condanna. Il ministro avrebbe dovuto avere un po’ di coraggio e intervenire per salvaguardare la dignità dell’istituzione scolastica calpestata dalle giovani piratesse veneziane. Poteva, ad esempio, chiedere alla commissione di rifare l’esame orale e in caso di ripetizione del teatrino del comunicato procedere con la bocciatura. Troppo comodo protestare platealmente a risultato già acquisito! Il voto finale è sì una sommatoria di voti parziali, ma se un segmento della prova è radicalmente contestato, sono gli studenti che si autobocciano.

Da un lato un ministro pavido e inconcludente, dall’altro una Dirigente scolastica che in maniera molto poco lucida ha avallato l’azione delle studentesse; essere salvati dalla destrorsa Donazzan mi mette un brivido funesto. Ma lo accetto per amore della scuola.

L'articolo Perché non sono d’accordo con la scena muta delle tre studentesse alla maturità proviene da Il Fatto Quotidiano.