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Niger, un anno fa il golpe. Ora la bandiera russa giace accanto a quella di altri paesi colonizzatori

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Niger, un anno fa il golpe. Ora la bandiera russa giace accanto a quella di altri paesi colonizzatori

Da luglio a luglio fa giusto un anno dall’ultimo colpo di stato nel Niger. Ancora una volta ci sono i militari al potere per la transizione non dichiarata ad un regime costituzionale e dunque democratico. Le marce e le ‘oceaniche’ allo stadio, partecipate soprattutto da giovani e bambini. Le bandiere del Paese al volante di […]

L'articolo Niger, un anno fa il golpe. Ora la bandiera russa giace accanto a quella di altri paesi colonizzatori proviene da Il Fatto Quotidiano.

Da luglio a luglio fa giusto un anno dall’ultimo colpo di stato nel Niger. Ancora una volta ci sono i militari al potere per la transizione non dichiarata ad un regime costituzionale e dunque democratico. Le marce e le ‘oceaniche’ allo stadio, partecipate soprattutto da giovani e bambini. Le bandiere del Paese al volante di tricicli, motociclette e taxi. I presidi notturni gestiti dai comitati di ‘veglia’ attorno alle rotonde principali della capitale. I raduni, le conferenze, le preghiere e l’emozione di aver vinto per la prima volta una battaglia simbolica col la Francia, Paese colonizzatore. L’evacuazione delle basi straniere francesi e americane è andata assieme alla creazione dell’Alleanza degli Stati del Sahel. Poi si annuncia la fuoriuscita di questi Paesi dal consesso degli Stati dell’Africa Occidentale, la CEDEAO. Quanto menzionato è stato scritto sulla polvere che il vento ha disperso perché nulla di nuovo suggerisce a chi non vuole più leggere.

La bandiera russa giace accanto a quelle dei tre Paesi del Sahel sopra menzionati. Arrivano armi, istruttori e forse pure militari russi. Si riaprono gradualmente le frontiere chiuse per l’applicazione delle sanzioni in seguito al golpe militare. Rimane ostinatamente chiusa quella col Benin che, assieme a quella della Nigeria, assicurano il passaggio di persone e beni indispensabili ad un Paese come il Niger, senza sbocchi sul mare. Persino l’oleodotto di due mila kilometri, appena terminato, è reso inagibile per il contenzioso tra i due Paesi e le minacce da parte dei gruppi armati ‘islamisti’. Questi ultimi perpetrano azioni criminali che hanno costituito uno dei pretesti, se non il principale, per giustificare i colpi di Stati nei Paesi citati. Una volta di più, in settimana, sono stati dichiarati tre giorni di lutto nazionale. Quanto accaduto è raccontato dalla polvere che il vento accarezza e che pochi, ormai, desiderano ascoltare.

Il confinante Burkina Faso, secondo il rapporto sull’indice del terrorismo globale del 2024, è il Paese più colpito nel mondo dal terrorismo. Con circa 2000 morti e 442 feriti il Paese ha superato l’Afghanistan come epicentro del terrorismo. Negli altri Paesi le cose non sono molto migliori e la regione delle ‘Tre Frontiere’, Niger, Mali e Burkina Faso, continua ad essere uno spazio di violenza e di morte. Torna vero un proverbio del posto che afferma: ‘quando la casa del tuo vicino è in fiamme corri a bagnare la tua barba’… Ciò a significare la fragilità e il rischio di contaminazioni terroriste tra Paesi vicini. Rifugiati e sfollati si contano a centinaia di migliaia mentre sono milioni le persone in stato di carestia o in vulnerabilità alimentare. Dovremmo aggiungere le migliaia di migranti, imbarcati in convogli, espulsi e poi detenuti da un sistema umanitario impreparato a tale sfida. Quanto tradito è polvere che migra col vento e non trova occhi che vogliano indignarsi.

E’ passata la festa della Tabasky, memoriale del sacrificio del padre nella fede Abramo. I capri e altro ovini sono stati sacrificati dal popolo e, forse, come il popolo. I prezzi dei generi alimentari di prima necessità hanno raggiunto livelli proibitivi per le famiglie il cui reddito è lasciato nelle mani del Dio che il Sahel ha preso in ostaggio. Trovare un lavoro in questo contesto è una sfida permanente alle raccomandazioni e affiliazioni politiche diverse da quelle del regime precedente. Spenta la vita politica dei partiti rimane quanto della società civile si identifica con la narrazione dominante che il potere tiene ancora in vita. Si fanno preghiere e ci si sposa quando possibile. Ai semafori non mancano i vigili che rappresentano la normalità del traffico e, ignari della situazione politica di impasse nel Paese, i cammelli, gli asini e i ruminanti hanno la priorità nella circolazione. Quanto vive il Paese è polvere gettata nel vento che le prossime piogge trasformerà nel fango dove i bambini, giocando, insegnano ai grandi la pace perduta.

Niamey, luglio 2024

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