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Июнь
2024

OMS a bottiglia tesa contro l’Italia

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L’Organizzazione mondiale della sanità ha appena pubblicato un rapporto da cui emerge che le multinazionali del cibo piegano la ricerca ai loro interessi di mercato. Eppure la Ue continua a sostenere l’utilità del NutriScore che penalizza gli alimenti genuini come carne e vino a favore di quelli ultraprocessati.


Europarlamento nuovo, Europa vecchia, anzi vecchissima. Si riparte dal NutriScore che Francia e Germania vogliono imporre a tutto il continente. Come si sa l’Italia è contrarissima, ma lo scontro non è tanto sull’etichetta, ma su chi debba e come produrre il cibo da dare agli europei. Del NutriScore si tornerà a discutere appena insediata l’assemblea di Strasburgo. La legge era stata accantonata agli inizi dello scorso perché gli stessi promotori dell’etichetta a semaforo avevano chiesto tempo per sistemare l’algoritmo.

Di cosa si erano accorti? Che definire l’olio extravergine di oliva un nemico della salute quando, per esempio, negli Stati Uniti la severissima Food and drug adminstration lo classifica come alimento-farmaco, forse era sbagliato. Così come ignorare del tutto se negli alimenti siano presenti o meno additivi chimici non è un gran bel vedere. Eppure l’ideatore dell’etichetta a semaforo, il professor Serge Hercberg non sente ragioni: solo il mio – osa dire - è il sistema giusto per informare i consumatori. E nell’imminenza del dibattito al Parlamento europeo, dopo aver ricordato che l’Italia si oppone al NutriScore perché costretta dalle lobby agricole e dei produttori di formaggi e salumi, sentenzia: «Solo la scienza dovrebbe guidare le decisioni politiche nel campo della salute pubblica. La scelta di un unico logo nutrizionale armonizzato per l’Europa, come previsto dalla Commissione europea nell’ambito della strategia Farm to Fork, deve rispondere solo a questo requisito, per garantire che tale logo sia favorevole alla salute dei consumatori, che deve essere l’obiettivo principale di una misura di questo tipo. NutriScore è l’unico logo nutrizionale di cui sia stata scientificamente dimostrata l’efficacia e il beneficio per i consumatori e la salute pubblica».

E qui però interviene l’Oms. L’organizzazione diretta da Tedros Adhanom Ghebreyesus, divenuto famoso e non sempre per cose positive ai tempi del Covid, ha appena pubblicato un rapporto che le multinazionali, ma anche la Commissione europea, tendono a tenere nascosto. S’intitola: Commercial determinants of non communicable diseases in the Who European Region, cioè Determinanti commerciali delle malattie non trasmissibili nella regione europea dell’Oms, e afferma che le industrie multinazionali piegano la ricerca per favorire il loro mercato.

Nell’introduzione si legge: «Le ricerche sponsorizzate dalle aziende alimentari danno quasi invariabilmente risultati favorevoli allo sponsor anche quando ricerche finanziate in modo indipendente dimostrano il contrario». E tanto per stare sui numeri l’Oms afferma: «Quattro segmenti aziendali - tra cui gli alimenti ultra-processati dalle multinazionali - causano 19 milioni di morti all’anno a livello globale, ovvero il 34 per cento di tutti i decessi. Nella sola regione europea, queste industrie sono responsabili, in tutto o in parte, di 2,7 milioni di morti all’anno uccidendo ogni giorno almeno 7 mila persone. E lo fanno attraverso strategie di marketing mirate, ingannando i consumatori e facendo false affermazioni sui benefici dei loro prodotti o sulle loro credenziali ambientali. E attraverso la manipolazione delle evidenze della ricerca».

Giusto perché si sappia, del NutriScore degli alimenti ultra-processati proprio non si occupa, anche se Serge Hercberg sostiene che «un indicatore nutrizionale non può tenere conto di tutto». L’Oms, per espressione del suo direttore regionale europeo Hans Henri P. Kluge, specifica che: «Le quattro industrie che uccidono ogni giorno almeno 7 mila persone sono quelle del tabacco, degli idrocarburi, dei cibi ultra-processati e dell’alcol. Le stesse grandi entità commerciali bloccano la regolamentazione che proteggerebbe il pubblico da prodotti e marketing dannosi e proteggerebbe la politica sanitaria dall’interferenza dell’industria».

Viene da chiedersi perché allora l’Europa che promuove il NutriScore se la prende solo con i nostri salumi, con i formaggi e col vino. La risposta in parte c’è e sta nei numeri. Pensiamo alla birra. Un mercato che vale circa 140 miliardi di euro dove cinque attori si spartiscono il 58 per cento del fatturato e i colossi sono Germania e Olanda. Il vino italiano vale un decimo! Pensiamo ai fatturati dell’industria alimentare quella che produce cibi ultra-processati. Le prime 25 aziende si sono spartite nel 2023 (la classifica è la Forbes Global 2000) 1.800 miliardi di dollari sul mercato europeo e la prima è la Nestlé svizzera, la seconda è AB InBev (Belgio) e nel novero di quelle che contano ci sono Danone (Francia)e le americane General Mills, Mondelez, Tyson Foods, Kraft-Heinz oltre alla brasiliana JBS, leader mondiale della carne. Nestlé, AB e Danone sono grandi sostenitrici del NutriScore, JBS è il primo investitore nella carne coltivata (le bistecche fatte in provetta: ha inaugurato un mega impianto di bioreattori a San Sebastian in Spagna dove conta di produrre mille tonnellate all’anno per arrivare a 4 mila). Mondelez, invece, è favorevolissima alla carne non carne e si parla di una joint venture con Beyond Meat già sponsorizzata da Bill Gates che produce hamburger vegetali utilizzando 32 differenti sostanze.

Giusto per avere le dimensioni, l’intero sistema agroalimentare italiano (in cui ci stanno anche considerevoli incassi delle multinazionali) fattura 179 miliardi anche se è vero che complessivamente - dal campo, al ristorante fino al turista - stressando al massimo i fattori di moltiplicazione lungo le filiere, si arriva a 600 miliardi, circa il 30 per cento del Pil. Queste sono le forze in campo, e in Europa a quanto pare comandano le forze maggiori. In un continuo gioco di specchi. Se la Commissione sdogana le meduse, gli insetti, forse la carne coltivata con ragioni ambientali e salutistiche, dall’altra non si accorge che le sue campagne nutrizionali sono in larga misura orientate dalle multinazionali. E però – come rivela uno studio congiunto dell’Università di Oxford, del George Institute di Pechino, dell’Unicef e dell’Università del North Carolina - l’89 per cento del fatturato delle prime 20 aziende di food viene da cibi «non salutari».

Il Farm to Fork di cui il NutriScore è la sintesi se la piglia però soprattutto con i prodotti italiani. Stella Kyriakydes, commissaria europea alla salute, è quella che ha bloccato la promozione dei salumi e ha sdoganato le etichette dissuasive che l’Irlanda e il Belgio vogliono mettere sulle bottiglie di vino. Lamberto Frescobaldi, presidente di Unione italiana vini, dice chiaramente: «Col via libera a queste etichette l’Europa ha sposato acriticamente le posizioni ideologiche dell’Oms».

Perché un conto è l’alcolismo, dannosissimo e che affligge i Paesi del Nord Europa, un altro è un consumo responsabile di vino. Il professor Giorgio Calabrese, presidente del Comitato nazionale sicurezza alimentare del ministero della Salute, aggiunge: «Il vino consumato in modo moderato ai pasti non crea problemi, anzi ci protegge». Eppure l’insistenza sul generico allarme alcol ha fatto effetto. La Direzione agricoltura della Commissione europea stima per quest’anno una diminuzione dell’11 per cento dei consumi interni (meno 28 milioni di ettolitri) europei e del 14 per cento dell’export (meno 5 milioni di ettolitri).

Ma se il vino fa male – il NutriScore addirittura lo segnala con l’etichetta nera – anche il resto del made in Italy non è visto di buon occhio. Al punto – come nota Luigi Scordamaglia, amministratore delegato di Filiera Italia – che si dovrà fare una battaglia durissima sull’etichetta di origine e soprattutto sui cosiddetti cibi mono-ingrediente (i formaggi, i salumi, le carni) per distinguere gli alimenti ultra-processati da quelli tradizionali e di vera origine agricola.

Una battaglia che fa dire al ministro per la Sovranità alimentare Francesco Lollobrigida: è tempo di modificare l’articolo 32 della Costituzione. Là dove si dice che la Repubblica tutela la salute, va inserito: «A tal fine persegue il principio della sovranità alimentare e tutela i prodotti simbolo dell’Identità nazionale».