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Июнь
2024

Il Nobel per la pace Irina Sčerbakova: Putin ha già perso

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Il Nobel per la pace Irina Sčerbakova: Putin ha già perso

foto da Quotidiani locali

LIGNANO. Profanare con una coraggiosa associazione un passato sepolto da un’obbligata indifferenza è stato un gesto umanitario e testardo in una Russia ben poco propensa a togliersi di dosso i crimini del Novecento.

Una delle fondatrici di “Memorial” Irina Ščerbakova — sarà insignita stasera del Premio Hemingway come Testimone del nostro tempo. Appuntamento alle 19.45 al Cinecity di Lignano Sabbiadoro. «Il compito per noi era raggiungere ogni destino umano e restituire un nome alle migliaia di vittime la cui memoria era stata cancellata dallo spazio pubblico».

E nel 2022 arrivò il Premio Nobel per la pace.

La Russia vincerà la guerra?

«No. Quello che Putin aveva immaginato è già chiaro che non lo realizzerà. In questo senso lui ha già perso. L’Ucraina, in un tempo non definito, potrebbe avviare dei negoziati con la Russia e ciò avverrà soltanto se il Paese potrà condurre un dialogo da una posizione di forza, altre alternative non le vedo possibili. Se l’Europa non capirà qual è la sua grande responsabilità, osservando con attenzione anche le mosse americane di non fornire aiuti già da sei mesi ai sudditi di Zelensky, sarebbe un’enorme sconfitta sul piano morale dell’Occidente e dell’idea stessa di democrazia. Abbiamo visto tutti cosa rappresenta il regime di Putin e nessuno può illudersi a riguardo».

Affidandosi alle sua esperienza, in questo momento storico ha più timori o speranze?

«Non userei la parola paura, ma c’è una diffusa angoscia di un periodo delicatissimo per l’Europa in odore di svolta. Per quanto riguarda la speranza quando un messaggio di mia figlia mi svegliò la notte del 24 febbraio 2022 informandomi che stavano bombardando Kiev, immaginatevi l’effetto che fece la notizia su una donna già ferita come me. Pensai alla Seconda guerra mondiale. Associando questo orrore, appunto, a una concreta prospettiva in cui l’Europa si sarebbe unita in modo compatto. E di espressioni di solidarietà ce ne sono state molte: in Germania, in Italia e in altre nazioni. Ecco, dobbiamo avere fiducia di questi slanci determinanti».

Che cosa spaventa Putin del mondo occidentale?

«Stalin, dopo la Seconda Guerra pensava di poter minacciare chiunque. E può essere che nell’immaginazione di Putin ci sia la figura del dittatore sovietico come simbolo della vittoria. Io spero, e mi ripeto ancora, che l’Occidente sia molto forte e Putin, in realtà, abbia qualcosa da temere: come l’ingresso nella Nato di Paesi che erano rimasti sempre neutrali, come la Svezia e la Finlandia. Il presidente è in apprensione per le mosse inaspettate dei nemici e, per questo, continua a minacciare l’uso delle armi nucleari. Lo interpreto come un ricatto, ma è l’unico mezzo che gli è rimasto. La decisione dell’attacco fu presa per la paura di Putin, e la parola si ripropone, di vedere un giorno l’indipendenza dell’Ucraina, una conquista per lui inaccettabile».

Nella cultura scolastica e universitaria russa il passato sovietico è censurato?

«Questo è proprio ciò che Memorial ha cercato di fare, ovvero spiegare il legame indissolubile col passato, non certo elaborato come si dovrebbe al fine di evitare un ritorno della storia più cruda e terribile. La Russia non ha mai fatto i conti con ciò che avvenne. Ma negli anni Novanta la scuola è stata libera come non mai prima e con la facoltà di scegliere il manuale più adatto, e non uno soltanto, che fornisse la verità storica, un’opportunità unica. E così gli studenti si fecero una concreta narrazione sul regime e su quello che aveva rappresentato, ma Putin è stato poi inflessibile nell’obbligare tutti a un passo indietro».

La popolazione russa quali sentimenti ha verso il conflitto?

«È difficile oggi come oggi disconoscere il potere salvifico della battaglia. Le persone vengono perseguitate per un semplice like sui social, per il colore dei capelli che richiama i colori dell’Ucraina o anche per come qualcuno si veste magari inneggiando silenziosamente agli “avversari”, mentre le carceri traboccano di prigionieri politici schierati contro il conflitto. In una dittatura è difficile promuovere sondaggi sociologici. E quelli esistenti spesso sono presi per falsati. Una piccola parte della società ha un atteggiamento aggressivo, promuove l’atomica e ritiene addirittura che Putin non lo sia abbastanza. Altri hanno una reazione critica riguardo al presente. E lo si è visto al funerale di Navalny — antagonista del presidente e ucciso probabilmente per questo — piuttosto affollato a sostegno di un’idea contraria a quella del Cremlino, nonostante non fosse affatto sicuro far parte di quel corteo. E, infine, c’è la maggioranza del popolo che non è favorevole, ma si adatta alla situazione perché la vita, in qualche modo, deve continuare».