La frattura che minaccia l’Unione europea
In queste elezioni per il Parlamento europeo si sono confrontate due idee diverse di Unione, anche se non sempre percepibili in modo chiaro dagli elettori. Va detto che i risultati migliori, nel complesso, li hanno ottenuti i raggruppamenti politici sostenitori di un’idea “debole” di Unione, difensori di una prospettiva di riduzione della percentuale di sovranità da condividere a livello comunitario.
Che mirano a un’Ue come sorta di confederazione di Stati nazionali sovrani, intenzionati a cedere il meno possibile dei loro poteri: vorrebbero una Ue sempre più simile a uno Zollverein, a una pura e semplice unione doganale che gestisce un mercato unico e nient’altro (per fortuna, sembra relegato a uno sparuto gruppo di nostalgici la proposta di abbandonare la moneta unica). Lasciando così nelle mani degli Stati-nazione tutto il resto. Cominciando dalla difesa, che è l’altro cardine della sovranità degli Stati-nazione, oltre al battere moneta.
Pensare a cosa significa oggi rimanere fermi agli eserciti di ciascuno Stato europeo senza puntare a un’autentica integrazione, e in prospettiva a un unico esercito europeo fa venire i brividi. La sicurezza militare dovrebbe essere obiettivo primario degli Stati-nazione, per poter poi avere un minimo di politica estera comune sugli scenari globali sempre più instabili, con guerre alle porte dell’Europa, senza fantasticare di un’autosufficienza rispetto alla Nato che non esiste.
Va peraltro sottolineato come ormai sia improponibile e velleitario l’obiettivo di una resilienza delle economie degli Stati-nazione europei bandendo ogni atteggiamento di natura cooperativa e di collaborazione transnazionale, privando i diversi sistemi produttivi del sostegno finanziario di un debito comune e di politiche comunitarie in grado di favorire la crescita di un’economia europea sempre più integrata, per non fare la fine del vaso di coccio tra Usa e Cina: senza di che, le politiche industriali dei singoli Stati-nazione finiranno per far saltare lo stesso mercato unico. Ma su ciò sono necessarie scelte politiche chiare e condivise in una prospettiva federalista. Senza che nessun Paese debba fare da donatore di sangue, ma sapendo che nessuno potrà ben perseguire il proprio (vero) interesse al di fuori di una cornice europea, con le inevitabili negoziazioni per giungere a compromessi, tutt’altro che impossibili, e, nel complesso, migliorativi per ciascuno.
Ma il punto più delicato della spaccatura tra sovranisti ed europeisti sta forse sul piano dei valori: lo scontro più duro, emerso anche a Borgo Egnazia al G7, sul quale non sembrano potervi essere composizioni accettabili, si colloca su alcuni princìpi non negoziabili che dividono i partiti della destra conservatrice da quelli più aperti dei partiti della sinistra (ma anche, almeno in parte, dei partiti moderati, di centrodestra): posizioni divergenti di fronte a esigenze che la sensibilità e gli orizzonti etici ed esistenziali pongono come ineludibili per non pochi cittadini europei: rispetto a quei princìpi scatta nei partiti della destra una reazione di totale rigetto. Sono princìpi che implicano il riconoscimento di precisi diritti civili da parte dei governi nazionali. È su questo piano che l’Europa rischia la disgregazione, incapace di darsi una identità morale che superi differenze ritenute incomponibili.