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Июнь
2024

Il nemico degli intellettuali «firma appelli»

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C'è è stato un tempo in cui gli intellettuali passavano il loro tempo a firmare appelli. Scrittori, giornalisti e docenti universitari avevano la sottoscrizione facile. Bastava che in due o tre sposassero una causa e il passaparola era garantito, così come la sigla sotto il manifesto.

A volte non era neppure chiaro quale fosse la causa sposata, né chi fosse il beneficiario dell’istanza, ma a rassicurare bastava la garanzia dei primi firmatari. Così, pare, fu sottoscritto il manifesto killer che qualcuno considera la condanna a morte del commissario Luigi Calabresi. Centinaia di maître à penser o semplicemente di intellettuali prêt-à-porter (per alcuni qualsiasi idea andava bene purché fosse glamour e consentisse di far parte del gruppo) accusarono il padre dell’ex direttore di la Repubblica di aver spinto giù dalla finestra della questura di Milano l’anarchico Pinelli: e così lo misero nel mirino del gruppo di fuoco di Lotta continua, che una mattina lo aspettò sotto casa e gli sparò. Anni dopo la morte di Calabresi, passato il furore ideologico, alcuni firmatari piagnucolarono, dicendo di aver dato la loro adesione al documento senza neppure rendersi conto di che cosa stessero firmando. Ma se qualcuno si pentì, forse anche per rendersi più presentabile agli occhi di un’opinione pubblica moderata, quasi nessuno chiese scusa.

Se ho ricordato l’episodio che vide vittima il commissario responsabile delle indagini sulla strage di Piazza Fontana, non è per rivangare una storia passata e tragica, ma per dire che, fatte le debite proporzioni (il terrorismo grazie al cielo non c’è più e non esiste più quell’area grigia e intellettuale che ai brigatisti strizzava l’occhio), l’abitudine di sottoscrivere appelli non è passata. Ogni tanto, quando il dibattito politico si infervora, ecco spuntare qualche professore o qualche intellettuale di complemento che stila un manifesto e lo fa circolare, denunciando pericoli per la democrazia e palesando un ritorno al fascismo. L’ultimo che mi è capitato di leggere è quello dei costituzionalisti. Premesso che non ero a conoscenza del fatto che in questo Paese ci fosse un esercito di docenti di diritto costituzionale, sta di fatto che da quando il Parlamento ha iniziato a discutere di premierato, ovvero di elezione diretta da parte degli italiani del presidente del Consiglio, gli esperti sono spuntati come funghi in un autunno piovoso, mettendo a punto un appello contro la riforma. Lo spunto è stato un intervento di Liliana Segre, che costituzionalista non è, ma che certo è una testimone della tragedia nazifascista.

Schierando la figura di chi ha avuto la famiglia sterminata nei campi di concentramento, tutto il resto è venuto facile, anche l’opposizione in punta di diritto sull’elezione diretta del capo del governo. Ma che cosa c’entra il premierato con lo Stato autoritario? Niente, perché consentire agli italiani di scegliere il presidente del Consiglio da cui farsi guidare non significa nominare un dittatore. Tuttavia, a professori e intellettuali l’accostamento consente di lasciar intravedere un futuro nero come la pece se la riforma entrasse in vigore. In altre parole, a forza di appelli e minacce, i costituzionalisti militanti sperano di riuscire a bloccare la riforma.

Segnalo solo che di consentire al premier di avere i poteri di un sindaco (nomina e revoca dei ministri) e di impedire ribaltoni si discute in questo Paese da almeno mezzo secolo. Il rafforzamento dei poteri dell’esecutivo era indispensabile per Indro Montanelli già nel 1974, mentre nel 1994 a trovarlo fondamentale erano perfino Achille Occhetto e il suo partito, infatti Massimo D’Alema inserì la questione tra quelle prioritarie per la Bicamerale. Ma in quegli anni, i firmatari di appelli in difesa della democrazia dovevano avere la mano stanca. Infatti, nonostante la pronta disponibilità a sottoscrivere qualsiasi manifesto, nessuno di loro organizzò una chiamata alle armi in difesa della democrazia. Ora, con mezzo secolo di ritardo, hanno invece individuato il nuovo nemico: il premierato.