Il Vespucci fa la storia, a bordo anche due friulani: un sogno realizzato per Giulia e Luca
Salpare per un viaggio lungo due anni. L’obiettivo è storico, il cammino lungo, il timore di non farcela viene e va. Sentire un nodo in gola alla partenza, ma anche guardando onde altissime mentre il traguardo è lì a un soffio. E poi liberare il sogno in un grido, fra lacrime e gioia incontenibile che fa ripetere soltanto: «Capo Horn! Capo Horn!».
L’Amerigo Vespucci ha fatto la storia, il 4 aprile ha doppiato Capo Horn per la prima volta. Un’impresa, perché superare quel punto dove s’incontrano oceano Pacifico e Atlantico è difficilissimo per le condizioni meteo, con venti oltre i 200 chilometri orari, e la conformazione del fondale dello Stretto di Drake, che risale in un niente da 4 mila metri a cento.
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L’equipaggio della nave-scuola – oltre 260 militari – ha compiuto l’impresa e nel gruppo ci sono anche due friulani, Giulia Magrini, 37 anni di Pradamano, e l’udinese Luca Martinuzzi, 25 anni. Sono loro a raccontare il cammino e l’emozione.
Il giro del mondo
Il veliero simbolo della Marina militare è partito dal porto di Genova il primo luglio 2023 per rientrare il 26 febbraio 2025 a La Spezia.
Nella navigazione lunga venti mesi la nave-scuola approderà in oltre 30 porti in 28 Paesi e toccherà tutti i cinque continenti. «Senza alcun ombra di dubbio la partenza è stato uno dei momenti più duri di questa missione», racconta Magrini, sottocapo di prima classe.
«Non avrei mai pensato che una navigazione o una partenza mi mettesse così in difficoltà, la consapevolezza di salpare e stare lontani da casa per due anni – spiega la sottocapo di prima classe –, sapere di non poter vedere i propri famigliari e il proprio partner con il timore che le cose a casa potrebbero cambiare da un momento all’altro, non è stato facile da gestire».
Paure comuni, assicura la specialista del sistema di piattaforma, che sulla Vespucci si occupa di manutenzione e monitoraggio del funzionamento dei motori generatori di bordo.
Magrini si è arruolata in Marina nel 2009, mescolando due passioni, quella per la storia («Sono nata in una terra di confine, dove intere generazioni di italiani e italiane hanno dato la vita per la creazione e la preservazione della nostra Nazione») a quella per la vela.
È cresciuta con i racconti della nonna sulla Seconda guerra mondiale, sul dopoguerra, sugli anni di tensione dei Paesi limitrofi, con le storie delle grandi unità americane ormeggiate a Trieste.
L’amore per il mare e la vela è cresciuto con la voce degli zii. Quelle testimonianze l’hanno spinta ad arruolarsi. Martinuzzi, capo di terza classe, è l’infermiere di bordo, garantisce l’assistenza sanitaria all’equipaggio, pianifica e prepara varie attività, per garantire ad esempio la copertura vaccinale e l’idoneità alle mansioni dei marinai.
La Marina selezionava infermieri già laureati, e lui, dopo un corso di sette mesi a Taranto, è stato assegnato al Vespucci che aveva già cominciato la traversata. Martinuzzi ha quindi raggiunto il veliero in Brasile, a Fortaleza. «L’esperienza più significativa è stata sicuramente il doppiaggio di Capo Horn – dice il capo di terza classe –, molto emozionante e motivo di grande orgoglio per tutti noi. Ai familiari ho raccontato con gioia i dettagli di quei giorni di navigazione, perché Capo Horn è una leggenda del mondo marinaresco ed è un avvenimento storico averlo doppiato con una nave del 1931, con vento in poppa e vele spiegate».
Già, le vele spiegate, quelle che portano i due marinai a dire che il loro sogno lo stanno vivendo. Fermarsi non è un’opzione prevista.
Le tappe
La professione che si lega ai valori è un’altra delle conquiste lungo il viaggio. «Mentre sulle navi grigie la vita è più frenetica, sul Vespucci riesci ad apprezzare di più il mare e il suo ecosistema», esplicita Magrini, perchè spesso capita di incrociare gruppi di delfini che saltano e nuotano attorno alla nave o di accompagnare qualche uccello migratore che si appoggia sugli alberi del veliero.
«Oppure hai la possibilità di ammirare la via lattea e le stelle che ci coprono e che ci guidano verso i porti delle nostre tappe. Da questo capisci – afferma Magrini – quanto sia forte l’impatto dell’uomo sull’ambiente e sul mare in particolare, come sia nostro dovere tutelare e salvaguardare l’ecosistema».
L’impresa di capo horn
L’idea che diventa realtà, il veliero che fa la storia, attimi memorabili sono nelle parole di Magrini. Sa che per chi non vive il mare è difficile capire la pericolosità di quelle acque, fra correnti fortissime e altissima instabilità meteo.
E allora porta gli esempi di quelle condizioni che hanno causato nei secoli l’affondamento di centinaia di imbarcazioni e la morte di circa 10 mila marinai. «Il poterlo passare a vela, come abbiamo fatto noi, è qualcosa di veramente epico e indescrivibile».
I giorni precedenti all’impresa, a bordo vigeva il silenzio, nessuno osava pronunciare quelle due parole, perché il rischio di non farcela era una probabilità, alta. L’impresa stava anche nel riuscire a centrare la finestra temporale giusta tra una perturbazione e l’altra, affrontando onde che sembrano travolgenti. «La sera che abbiamo doppiato Capo Horn è stata probabilmente la più lunga mai vissuta», aggiunge Magrini.
I minuti non passavano, la meta sembrava non sopraggiungere mai, «intanto dall’oblò vedevo il mare scuro e tempestoso lambire con le sue onde sempre più alte la finestra da cui osservavo. Non nascondo che per più momenti ho avuto paura che non riuscissimo a doppiarlo e che dovessimo rinunciare cambiando rotta».
A bordo quasi non si respirava, l’attesa era febbrile. «E poi l’altoparlante ha gracchiato e il comandante ha dato il tanto atteso annuncio: avevamo doppiato Capo Horn. La nave è esplosa di una gioia incontenibile, io – assicura Magrini – e alcuni colleghi ci siamo commossi e abbiamo pianto dall’emozione. Appena è stato possibile ho chiamato i miei familiari in Italia, lì era mattina presto, le uniche parole che mi sono uscite sono state: «Capo Horn! Capo Horn! Capo Horn! Lo abbiamo doppiato, lo abbiamo doppiato!».
Come il motto del veliero
La frase di Leonardo Da Vinci “Non chi comincia ma quel che persevera” è il comandamento dell’equipaggio del Vespucci.
Così Magrini e Martinuzzi vogliono raggiungere altri traguardi. «Il mio sogno lo sto vivendo – conferma Martinuzzi – e sono orgoglioso di essere riuscito a racchiudere due interessi, quello per il mondo sanitario e quello per il mondo militare, in un unico lavoro, che mi sta permettendo di fare esperienze uniche».
Magrini invece di sogni ne ha già realizzati due, il primo nel 2020 quando entrò a far parte dell’equipaggio del Vespucci «per me il coronamento del sogno che avevo dal primo giorno in cui mi sono arruolata in Marina» e il doppiaggio di Capo Horn.
A 37 anni può bastare. No. «Al ritorno dal giro del mondo mi piacerebbe partecipare alle missioni in Antartide e in Sinai, anche se a dir la verità il vero sogno è superare il concorso ufficiali ruoli speciali e far conciliare la mia professione con la creazione di una famiglia». Buon vento.