ru24.pro
World News in Italian
Май
2024

Giro d’Italia. Fochesato e il monte Grappa:  «Allora era strada bianca»

0

Il Giro d’Italia arriva tra pochi giorni in Alpago. Ed è questa una bella occasione per ricordare un corridore della Conca che, proprio cinquant’anni fa, correva al Giro.

Si tratta di Gino Fochesato, di Tambre, classe 1948.

Di origini vicentine, nato a Introbio, in provincia di Lecco, da giovanissimo si trasferì in Alpago perché il papà lavorava come forestale in Cansiglio. A correre in bici cominciò nel 1965: alla prima gara, categoria Esordienti, in maglia Enal Tagliapietra Belluno, giunse undicesimo.

Sempre quell’anno anche un secondo posto e una vittoria. L’anno successivo, categoria Allievi, le vittorie furono ben quattro e tra queste quella in una delle classicissime del ciclismo giovanile veneto, la Vittorio Veneto-Cansiglio.

Nel 1967 il passaggio al Veloceclub Longarone, dilettante di terza categoria: tre vittorie. L’anno dopo, passato già dilettante di prima, altre tre vittorie, tra le quali la Trento – Bondone.

Tra i dilettanti vestì pure la maglia della Ciclisti Padovani (all’epoca una vera e propria corazzata) e fu uno degli atleti di riferimento in Italia.

Scrisse il suo nome su tante gare importanti della categoria (nel 1969 addirittura 9): tra queste il Campionato veneto, il Giro del Piave, il Trofeo Martini in Francia, la Coppa Varignana (due volte) in Emilia, e il Trofeo Piva a Col San Martino.

In quest’ultima gara duellò con un certo Francesco Moser, relegandolo al terzo posto. Fu anche riserva del quartetto della 4x100 alle Olimpiadi di Monaco.

E, in maglia azzurra, disputò il Giro del Messico. Il “salto” tra i professionisti avvenne con la maglia Dreher. Avventura breve, però, quella tra i “grandi”: durò appena due anni, 1973 e 1974.

«Proprio al Giro del Messico, all’ultimo anno da dilettante, contrassi l’epatite», spiega Fochesato, «questo mi debilitò e nei due anni da professionista non fui in grado di fare vedere quello che valevo. Non ero più io. Ricevetti un’offerta per continuare a correre ma mi pagavano troppo poco. Meglio smettere».

Rimpianti?

«Ho sempre fatto quello che potevo, non risparmiandomi mai. Inutile avere rimpianti. Le cose sono andate così».

Che ciclismo era il suo?

«Molto, molto diverso rispetto a quello di oggi, per via dei rapporti, dell’alimentazione, della preparazione. Il nostro era un ciclismo più naïf, più fantasioso. Non invidio i corridori di oggi, costretti a misurare i grammi di qualsiasi cosa mangino».

Tra pochi giorni si disputerà la Alpago – Bassano del Grappa che prevede due volte il Grappa. Il monte sacro alla Patria si scalò anche nel 1974, nella Misurina – Bassano. Cosa ricorda di quel giorno? «Vinse Merckx, io arrivai parecchio staccato. Salimmo dal versante feltrino di Caupo. C’erano dei pezzi di strada bianca, in alcuni tratti il tubolare scompariva sotto la ghiaia».

Nel corso della sua carriera ha duellato con Moser e Battaglin, affiancato Merckx e tanti campioni.

Come erano questi mostri sacri delle due ruote? «Avrei potuto passare professionista con la Molteni di Merckx ma poi le cose andarono diversamente e mi accasai alla Dreher. Eddy era una cosa infinita. La prima volta che corsi con lui fu alla Tirreno – Adriatico: lo marcai per tutta una tappa per potergli finire davanti. Arrivammo in gruppo e riuscii a piazzare la mia ruota davanti alla sua. Se Merckx era un leone, il suo connazionale Roger De Vlaeminck era un giaguaro che tendeva imboscate. Io ero amico di Motta: Gianni aveva più numeri di Gimondi ma era più matto. Mi diceva sempre: Gino, vieni con me in fondo al gruppo che in testa tira troppa aria».