ru24.pro
World News in Italian
Май
2024

Sgarbi: «Quell’opera nel padiglione Italia è un insulto»

0
Il critico d'arte contesta duramente l’installazione Due qui/To Hear di Massimo Bartolini, esposta nel nostro spazio nazionale alla Biennale 2024 di Venezia. E in queste pagine motiva il proprio dissenso per ragioni artistiche ed economiche.

Non è un Padiglione brutto. È mostruoso. È un insulto all’Italia. Un orrore contro arte e natura. Anzi un delitto. Un crimine. Ottocentomila euro di danaro pubblico (più altri 400 mila versati da privati) per una selva irragionevole di, vacuamente sonori, tubi Innocenti. Magari. Un vero grande artista, Luigi Serafini, naturalmente assente dalla Biennale, li dice «colpevoli». Tubi colpevoli. E lo saranno certamente appena presenterò, su carta intestata, il mio esposto anonimo alla Procura della Repubblica, per abuso d’ufficio, e alla Corte dei conti per danni all’erario. I tubi Innocenti, esposti per sé stessi, non hanno una funzione di sostegno o di supporto al lavoro di uno o più artisti, ma certo i medesimi costi, che, nel Padiglione, sono venti o trenta volte superiori a quelli ordinari.

A chi sono andati quei soldi? Chi ne risponde? Il curatore Luca Cerizza ha voluto un amico, sedicente artista, Massimo Bartolini, che ha trasferito i suoi tubi sonori e parlanti da una mostra del Museo Pecci di Prato a Venezia, senza variazioni sostanziali. Il Padiglione Italia, ampiamente annunciato e accolto come una rivelazione da menti ottenebrate, è una triste replica del Pecci, con soldi pubblici. E una regola idiota e poliziesca ha imposto che gli artisti nel Padiglione Italia non potessero essere più di tre. Quando fui io direttore furono 300. Meglio uno, e insignificante, allora. Noto solo ai quattro critici che sono andati a Prato per una mostra da 3 mila visitatori. Ho anche la sensazione che, per la sua integra idea della cultura (e quindi dell’arte), il ministro avrà condiviso il dissenso del sindaco Luigi Brugnaro alla inaugurazione di un Padiglione che rappresenta l’opposto delle sue idee. Dopo anni di testimonianze in difesa della pittura, della figurazione, come risarcimento di un lungo tempo di arte ideologica e schierata a sinistra, la delusione di un conservatore nel vedere il campione dell’Arte povera, Jannis Kounellis, al Maxxi, e (ben peggio) il modesto (e meno che sinistro) Bartolini a Venezia, è una tragica e umiliante sconfitta. Fatico a veder qualcuno illustrare ed elogiare la bellezza del tubo, e del restante, costosissimo, vuoto.

In passato, il Padiglione fu affidato a critici liberi come Beatrice Buscaroli, Vincenzo Trione, Luca Beatrice, Alessandro Faggionato, io stesso, che facemmo mostre ricche e discusse per idee, varietà e quantità dell’offerta, fino all’ultimo, solipsistico padiglione allestito da Gian Maria Tosatti, su chiamata del furbo curatore Eugenio Viola: ambizioso, ideologico ma degno di attenzione, fortemente legato alla moda, con il cospicuo contributo di Valentino, che persuase autore, curatore, e Pierpaolo Piccioli, a indossare eleganti abiti neri della casa di moda della dichiarata nostalgia del mondo operaio. Falsificazioni capitaliste. Ma non come questa presa per il sedere, fintamente intellettuale, del duo pratese Cerizza/Bartolini. I ponteggi, per legge, hanno un prezziario stabilito che risulta nelle voci di capitolato per allestimenti di cantiere. Un identico padiglione ma con canne di bambù, a costo quasi zero, è quello della Scandinavia. E alla fine il vero Padiglione Italia, costato 80 mila euro, è il Padiglione Venezia, dominato da due autentici artisti: l’ospite Safet Zec, grande, intenso pittore, e il giovane Vittorio Marella, veneziano dotato di forza e di visione. Le loro immagini potenti sono accompagnate dai versi del poeta Franco Arminio: «Credo nei furiosi, nei folli, negli esclusi...».

Qui è l’Italia, non nelle testimonianze di impotenza della gabbia di tubi Innocenti. Un vero curatore è scelto per le sue idee, come fa il presidente della Biennale con i suoi direttori, non esce da un concorso cui partecipano quelli che sanno che non saranno mai chiamati. Sappia dunque Cerizza (e la mia fonte è certa, essendo io all’epoca sottosegretario, e avendo annunciato la sua nomina cercando di salvarlo con la proposta di destinare una parte del vasto spazio vuoto delle pareti al fumetto) che non è stato scelto per il suo progetto «tubista». Ora dice, spiegando le ragioni del suo lavoro in Biennale: «L’incontro e l’ascolto vanno insieme. Il Padiglione Italia è acustico, sonoro e visivo allo stesso tempo», mostrando di credere che «acustico» e «sonoro» siano esperienze diverse. Delira, confuso e infelice. Certo qualcuno evoca le canne di un organo, che i tubi non sono, e la suggestione della musica, identica a quella in una chiesa di campagna, con un buono strumento, a Scorzè o a Trebaseleghe. Niente di più. Tubi Innocenti e un cd, ma contrabbandati per i gonzi in uno «spazio intricato come un bosco». Poi «lo spettatore può passare al contesto più aperto del Giardino delle Vergini», come è sempre stato. Una vera sòla.

Il povero pittore Nicola Verlato, che da anni dipinge con straordinario impegno, rimpiange di non aver piantato un tubo per veder crescere un albero. La banca che sostiene il Padiglione cercherà di sottrarsi alla responsabilità di una spesa ingiustificabile. Lo spaesato Cerizza così descrive, in un linguaggio greve, la grande idea: «Attraverso opere scultoree (?), installative, sonore e performative, in una varietà (?) che è tipica della pratica dell’artista, il progetto delinea una modalità collaborativa (sic!) e una situazione esperienziale». Una nota indecifrabile del Bartolini lo asseconda: «Un buon narratore deve essere ignorante per potersi stupire di quel che scrive». Proprio così. Non c’è dubbio. Per vedere qualcosa di umano meglio guardarsi intorno, dove non si sente o intende, nel persistente Giardino, l’annunciato coro per tre voci, campane e vibrafono (che nessuno esegue; sempre, presumo, in cd).

Un notevole collezionista italiano, Antonio Martino, mi manda il suo commento: «Comunque già solo che un artista bravo come Bartolini debba riproporre un’opera già fatta e vista sia al Pecci di Prato sia alla Fondazione Merz non è accettabile, a prescindere da tutto... Peccato... un’altra occasione persa pure per lui... Il Padiglione è troppo grande e lui e il curatore hanno scelto il contenuto già pronto per riempirlo, in maniera più sbrigativa...! E meno faticosa! Forse non ci credevano nemmeno artista e curatore! Conoscevo progetti interessanti e complessi che sono stati bocciati… Forse un solo Artista non ce la fa nel nostro grande Padiglione, visti i risultati! Ma così è troppo facile e banale, e poco rispettoso per il pubblico e per l’Italia. Partecipare al Campionato del mondo dell’arte che ci ha visto nei secoli Campioni, e uscire sempre sconfitti senza toccare palla… è sconfortante! Comunque il padiglione non mi è piaciuto per nulla sia esteticamente che concettualmente. La cosa interessante che su 10 persone con cui ho discusso a quattr’occhi, almeno otto ne parlano molto male… una difende e una non si sbilancia, ma difende il Padiglione. Ufficialmente invece vige il politicamente corretto e le statistiche cambiano. Questa è la fine dell’arte senza una critica ufficiale che prenda una posizione decisa ed intellettualmente onesta. È disarmante assistere alla perdita d’identità della nostra storia dell’arte almeno per quanto viene proposto al Padiglione Italia che vivendo di complessi d’inferiorità e in ritardo di almeno 60 anni, si ostina a riproporre uno stantio post concettuale modaiolo brutto e fine a se stesso che ci allontana dalla bellezza intelligente dell’Arte!

P.s. Sicurezza sul lavoro: siamo i campioni in Europa credo per il numero di incidenti sul lavoro e di vittime. Quindi è fuori luogo riproporre concettualmente queste impalcature pure per questo motivo, per rispetto dei parenti delle vittime e la loro memoria... avendoci speso addirittura un milione e duecentomila euro...». A fianco, certamente meno costoso e velleitario, il bellissimo Padiglione cinese, con indimenticabili sculture e suggestive fotografie; subito fuori, proprio davanti all’italico orrore, le sette potenti e monumentali colonne di Lauren Halsey, con fantasiosi capitelli dai volti di amici e familiari. Poco lontano il Padiglione albanese, con una vera e intensa pittrice, Iva Lulashi, che ci fa rimpiangere di non essere albanesi. Pareti, quadri, trasporti e allestimento saranno costati meno di 100 mila euro. E l’Italia, con il suo spreco, si distingue in una Biennale internazionale fatta tutta di pittura e di figurazione. Colori e fantasie cui l’Italia risponde con tubi grigi. Davanti al mondo in festa la nostra arte vale un tubo. Questo il nostro orgoglio, a pancia in fuori. E il mondo si contende i tubi di Bartolini! Tutti in coda per vederli. Nulla di più comico, neanche in Vacanze intelligenti di Alberto Sordi.