Klotho, la straordinaria proteina della longevità: cos’è e come funziona. La dottoressa che la studia: “Può davvero mantenere il cervello sano in età avanzata”
Vivere meglio e più a lungo. Con la proteina Klotho è possibile. O almeno così pare, stando alle ultime ricerche di cui scrive – tra gli altri – il Daily Mail. Come riportato dalla testata britannica, infatti, un recente studio ha rivelato che una singola iniezione della proteina Klotho – scoperta nel 1997 dal dottore giapponese Makoto Kuro-o – può potenziare la funzione cognitiva nelle scimmie più anziane. E ciò potrebbe funzionare anche per gli esseri umani. Questa proteina, che prende il nome dalla figura mitologica greca Clòto che tesseva il filo della vita umana, è stata al centro di una recente indagine dei ricercatori dell’Università della California, San Francisco (UCSF), su 18 macachi con un’età media di quasi 22 anni, l’equivalente di una persona di 65 anni.
Gli esperti hanno somministrato a un sottogruppo di animali un’iniezione di klotho equivalente al livello osservato nelle persone alla nascita. Queste scimmie hanno ottenuto risultati migliori in un test che richiedeva loro di ricordare la posizione di un cibo tra un massimo di nove posizioni possibili, dopo un ritardo massimo di 32 secondi. Quindi la tesi dei ricercatori, secondo cui “il trattamento o il reintegro con questo ormone endogeno può rivelarsi terapeutico negli esseri umani che invecchiano”. Un passo importante, considerando che sempre più l’uomo è alla ricerca di una longevità, nell’ambito di una eterna sfida contro la morte. Sfida il cui esito è scontato, ma meno il percorso con cui ci si arriva. Specialmente negli ultimi anni si sta sviluppando una ricerca (talvolta ossessiva) dell’eterna giovinezza con un incremento, per fare un esempio, della medicina estetica.
Il QuotidianoSanità scrive in un articolo del 2023: “Secondo le stime ufficiali attualmente a disposizione i trattamenti di medicina e chirurgia estetica sono aumentati almeno del 20% nell’ultimo anno; inoltre si stima che le richieste siano cresciute del 67% rispetto al 2019 e addirittura del 130% rispetto al 2020 (dati SICPRE)”. Un impulso – quello della giovinezza eterna e di una vita più lunga – profondamente radicato nella natura umana, cui fa da eco il costante avanzamento della scienza e della tecnologia con conseguente miglioramento nella medicina e nella salute. Fattori da considerare nella loro totalità e in cui si interseca anche il ruolo della proteina Klotho, volta a perseguire un obiettivo simile. La neuroscienziata Dena Dubal, autrice senior dello studio precedentemente citato, ha studiato Klotho per anni e, in merito al suo potenziale anti-invecchiamento, ha affermato: “L’invecchiamento è il principale fattore di rischio per i problemi cognitivi, e i problemi cognitivi sono uno dei maggiori problemi biomedici”. Sfide che non possono essere ignorate. La stessa dottoressa poi ha aggiunto: “Ma questi risultati suggeriscono che Klotho potrebbe essere un trattamento che potrebbe davvero funzionare nelle persone, per mantenere il cervello sano in età avanzata. Abbiamo bisogno urgentemente di studi clinici per vedere se sia così”.
Altri studi sulla “proteina della giovinezza”
Intanto c’è chi si sarebbe già messo alla prova. Come Bryan Johnson, un americano di 46 anni che – riporta il Corriere della Sera – tenendo alto il suo indice Alpha Klotho, in cinque mesi ha abbassato la sua età fisica a 21 anni. Di questo argomento si era già parlato mesi fa, quando spopolava sul web la notizia di questo ricco imprenditore alla ricerca dell’elisir dell’eterna giovinezza. Ad ogni modo, quali altri studi ci sono al riguardo? Come spesso accade, i topi sono stati utilizzati in alcuni esperimenti scientifici per fornire delle risposte. Pare, infatti, che una variante consanguinea di topi, priva della proteina Klotho, ha mostrato un invecchiamento accelerato e una vita più breve, segnata da malattie cardiovascolari e degenerazione degli organi. Negli esperimenti condotti sui topi, livelli aumentati di Klotho hanno esteso notevolmente la durata della vita, aprendo nuove vie per la ricerca sulla longevità.
Ma qual è l’impatto di questa scoperta per gli esseri umani? I livelli di Klotho nell’essere umano diminuiscono con l’avanzare dell’età, un andamento associato ai segni dell’invecchiamento cellulare. Questo solleverebbe l’ipotesi dell’eventuale utilizzo di Klotho nel trattamento delle malattie legate all’invecchiamento e nell’ottimizzazione della salute complessiva. Per fornire un quadro più completo, il Corriere ha riportato le dichiarazioni di Ascanio Polimeni, medico specializzato in Broncopneumologia e Malattie dell’Apparato Respiratorio e che nel tempo ha conseguito master e studi in diversi settori della medicina concernenti in particolare la psiconeuro-endocrinoimmunologia, la cronobiologia e la nutrigenomica. “Dai topi, allo scimpanzé sino ai mammiferi più elevati come l’uomo: è inequivocabilmente stato rilevato che quando abbiamo livelli di questa proteina ridotti rispetto al livello medio relativo alla propria età anagrafica l‘aspettativa di vita è ridotta. E vediamo più facilmente l’insorgere di demenza, malattie cardiovascolari, tumori, invecchiamento accelerato su tutti i punti di vista, dalla pelle, ai capelli, all’osteoporosi, alla perdita di massa muscolare sino alla disabilità e quindi una mortalità anticipata”, le parole di Polimeni, considerato uno dei pionieri della medicina Antiaging nel mondo. Il medico ha continuato: “Chi è stressato, obeso, chi mangia e dorme male, chi non pratica attività fisica ha più facilmente livelli depressi di questa proteina, al contrario di chi ha uno stile di vita migliore”.
E ancora: “Oggi noi lo possiamo dosare sia nel sangue che nelle urine e sembra essere correlato al livello delle cellule senescenti, che sono quelle che non si dividono più ma entrano nello stato di non proliferazione e accelerano la senescenza delle cellule vicine, diventando una specie di virus che si propaga”, ha continuato Polimeni. Ma la proteina del Klotho è ancora in fase sperimentale e non è possibile somministrarla, ma stimolarne, questo sì, il rilascio naturale. Logicamente restano validi alcuni concetti già noti. Arrivare a tarda età senza patologie è garanzia di un buon invecchiamento. “Per contro esistono modelli di invecchiamento accelerati che si trovano in pazienti con alcune patologie precise: diabetici, obesi, sindrome metaboliche e anche alcune infettive croniche come i malati di HIV. [..]”. “Sappiamo che lo zucchero – ha dichiarato Polimeni -, è un elemento tossico e va ad attivare in maniera negativa le vie metaboliche: avremo uno scarso funzionamento dei mitocondri, una maggiore infiammazione, un maggiore stress ossidativo, un accorciamento dei telomeri, un accumulo delle cellule senescenti, tutti fattori che favoriscono l’invecchiamento accelerato, al contrario dei soggetti sempre in movimento, che mangiano meno, che caratterizzano le aree dove le persone presentano un invecchiamento positivo. Quindi al di là poi delle regole dello stile di vita che riguardano il lifestyle- medicine, attività fisica, riduzione delle calorie, digiuno intermittente – ci sono interventi protettivi a livello nutrizionale e, lo sappiamo, anche a livello farmacologico e sono le cosiddette molecole geroprotettive: dalla vitamina D agli estratti vegetali e anche alcuni tipi di farmaci che controllano sempre i picchi glicemici”.
Chiaro, infine, anche il pensiero dell’Università degli Studi di Bari Aldo Moro e, nella fattispecie, dei ricercatori che hanno lavorato, in collaborazione con la Biobanca dell’IRCCS Giovanni Paolo II di Bari, per approfondire l’argomento. “I potenziali effetti di Klotho sulle cellule staminali – ha affermato il prof. Loreto Gesualdo, ordinario di Nefrologia dell’Università di Bari -, non solo forniscono nuove informazioni sul loro ruolo nei processi anti-invecchiamento, ma potrebbero anche dare un contributo significativo al progresso clinico/terapeutico nella medicina rigenerativa. Questi risultati gettano nuova luce sui meccanismi di regolazione di queste importanti cellule renali e potrebbero supportare il futuro sviluppo di terapie di precisione per le malattie renali“.
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