Ragazzi, scegliete rischi migliori
Sono migliaia i ragazzi che ogni settimana sfidano su strada e al chiuso Signora Morte, impermeabili alle raccomandazioni pubbliche e private, materne e paterne. Non con spavaldo coraggio ma con totale inavvertenza del pericolo, come se fosse un film, un video, una second life. E sono tanti i genitori e i nonni che a ogni notizia d’incidente hanno una fitta al cuore, aguzzano l’orecchio nella speranza di sentire i nomi di altri; non è lui, anche questa volta l’abbiamo scampata, questo giro ci è andato bene... E se non si conoscono ancora i volti e le generalità si corre in camera sua per vedere se c’è qualche traccia del ragazzo, per capire dai dettagli qualcosa della sua vita, delle sue follie, della sua malattia di vivere. La domenica a prima mattina si va in camera di lui, per capire se almeno alle cinque, alle sei si è ritirato. E loro incuranti di tutto, ma non perché più tosti, più duri ma al contrario, proprio perché più delicati, più fragili.
E ti ricordi in quei momenti della loro infanzia, quando tu eri sveglio e loro andavano a dormire e li sentivi recitare dalla loro camera le preghiere, sussurrando con le loro voci bambine. E ora lì davanti alla soglia delle loro stanze ancora vuote alle quattro della notte e il cellulare staccato... O quando sono in casa, spiarli mentre fumano, stanno al computer, barricati nel loro altro regno. E vedere tuo figlio, tuo nipote, perdersi alla vita e tu non sai come estrarlo dalle sue macerie; vederlo rifiorire, riaprirsi al mondo, alle mattine, studiare, vivere, lavorare... Come impedire che ogni notte lui si dissolva? Vorresti dire, figlio mio che ti succede, sfiorargli la testa ma per pudore non accarezzarlo, che ti succede, trovarsi a ripeterlo come un genitore stupido e banale, non poter far nulla e volergli dare tutto, per riportarlo alla luce... ma poi sei sicuro di essere nella luce, o abiti solo un’altra fogna, ma più al sicuro? Come aiutarlo senza dargliene l’idea? Lasciamo stare l’ossessione della sicurezza, la sindrome mammista della maglia di lana, la paura di mandarli in giro.
Liberiamoci da queste umanissime viltà, accettiamo la sfida del mare aperto. Navigare necesse est. Arrivo a dire che preferisco per loro rischi migliori. Esplorazioni ardite, avventure di cielo, di mare e di montagna, partenze volontarie per una causa degna di vita, anche se all’apparenza non ce n’è nessuna che valga una vita. Preferisco scelte consapevoli di rischio per una ragione o una passione grande. Arrivo a preferire i ragazzi che partivano volontari in guerra. Meglio i morti per ardore di fede e di patria ai morti per velocità, fumo e depressione. Meglio martiri di un’illusione piuttosto che vittime automatiche di una nottata sfatta. Forse il rimedio è ridare incanto alla vita, smetterla di considerarla solo un fatto di contabilità, di successi e consumi.
Forse la matrice ultima dell’autodistruzione è proprio quello che crediamo essere il rimedio. Consumando consumando, le dosi aumentano e alla fine c’è l’autoconsumo. Forse bisogna dare libera circolazione ai miti per evitare che i ragazzi ne seguano degli altri, infami, infimi e feroci. Grandi passioni estetiche, estatiche, religiose, letterarie, storiche, esplorative, di pensiero... Non il comodo miraggio della bella vita ma lo sforzo di vivere una vita bella. Ai figli estremi del vietato vietare non servono tanto i divieti. Provate invece a sfidarli sul loro terreno: non chiedete loro di passare dall’incoscienza alla prudenza, ma dall’incoscienza al coraggio. Su, coraggio, non tornate a casa. Rendete la vita un’avventura degna di essere vissuta.