Sorpresa all’apertura del testamento, Piero Pittaro dona l’azienda vinicola ai suoi nove dipendenti
CODROIPO. Lo storico enologo e braccio destro di una vita, il perito agrario, la contabile, l’addetto commerciale, gli uomini di cantina e di vigneto. Sono i nove dipendenti dell’azienda vinicola di Piero Pittaro, l’imprenditore friulano scomparso a 89 anni il 24 marzo scorso. O meglio ex dipendenti.
Perchè Pittaro, uomo visionario, eclettico e illuminato, nel necrologio che aveva fatto preparare per il “Messaggero Veneto”, si era accomiatato dal mondo con una frase del Vate Gabriele D’Annunzio: “Io ho quello che ho donato”.
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Ed è stato di parola perchè ha lasciato la maggioranza dell’azienda che aveva fondato all’inizio degli anni Settanta, proprio ai suoi fidati collaboratori. Una donazione vera e propria che, all’apertura del testamento, ha emozionato e sorpreso gli interessati, trattati come fossero dei figli. Un gesto più unico che raro nel mondo dell’imprenditoria italiana.
Loro, tutte persone della zona di Codroipo che lavorano con professionalità e dedizione alla Vigneti Pittaro da oltre 10 anni, hanno accettato l’inattesa eredità.
Costituiranno in tempi brevi una nuova società con tutti i crismi di legge, che sarà guidata da un amministratore delegato, mentre ogni “erede” avrà i suoi incarichi specifici all’interno.
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La parola d’ordine è: continuità e valorizzazione del marchio, che resta friulano e non viene ceduto al miglior offerente. Un marchio che, commercialmente, è appetibile: 85 ettari di vigneti tra proprietà e affitto nelle Grave del Friuli, 300 mila bottiglie vendute ogni anno, 100 mila delle quali di spumante e altre 200 mila di vini fermi bianchi e rossi, con una quota di export pari al 35, 40% e destinazioni privilegiate gli Stati Uniti, Singapore e l’Unione europea.
«Quando facevamo qualche controllo nei vigneti o le prove in cantina ci diceva, ogni tanto in lingua friulana, “Us lassi dut a vualtris” (“Lascio tutto a voi”), ma francamente pensavamo che Piero scherzasse - racconta oggi Stefano Trinco, l’enologo del gruppo che è anche presidente della Doc Friuli - . Tra noi c’era un bel rapporto, fatto di stima e di rispetto, ma non avremmo mai pensato a un gesto di così grande generosità. Da parte nostra c’è grande emozione, oltre a un doveroso ringraziamento. E sicuramente c’è l’impegno e la consapevolezza di portare avanti in prima persona l’azienda. È un onore e una grande responsabilità. Un dono prezioso che va valorizzato al massimo, faremo di tutto per portare avanti il suo nome come merita». E il primo impegno sul campo, per i nove eredi Pittaro, sarà la concretizzazione e il lancio di quella che era stata una delle ultime idee del patriarca Piero. Vale a dire la creazione di uno spumante “Blanc de Noir”, naturalmente realizzato con il metodo classico, che è l’impronta aziendale, da uve esclusivamente Pinot nero. «Era un progetto a cui il capo teneva tantissimo - spiega ancora Trinco - , ci vorrà qualche anno di maturazione, ma porteremo a termine l’iniziativa, come lui avrebbe voluto».
Pittaro è scomparso all’ospedale di Udine a 89 anni, in seguito alle complicazioni sopraggiunte dopo un intervento cardiaco.
Apparteneva a una solida e antica famiglia di viticoltori, ma amava definirsi «un semplice contadino». In realtà era molto di più.
Assieme a un altro grande della viticoltura del Nord Est, Girolamo Dorigo, introdusse per primo il metodo classico nella spumantistica regionale, fu insomma l’inventore delle bollicine made in Friuli. Di professione era enologo e scalò i vertici dell’associazione, fino alla presidenza mondiale. Era Accademico della vite e del vino, nobile del Ducato dei vini, Cavaliere al merito agricolo della Repubblica francese, grand’ufficiale d’Italia.
I suoi inizi amava raccontarli lui stesso, come si legge sul sito Internet aziendale. «Quando, agli inizi degli anni ’70 dissodai queste terre aride, sassose, piene di piste in calcestruzzo che i tedeschi avevano costruito nel 1943, pur non disponendo più di aeroplani pensavo: qui farò una cantina, calata nel territorio. Ma qui non c’era nulla. Terra bruciata nelle torride estati. Non c’era acqua, l’irrigazione era sconosciuta. Avevo dei dubbi anch’io sulla riuscita di un vigneto. Poi visitai i vigneti sul fiume Meduna, portati alla vite dal lungimirante barone De Pauli. Sassi, sassi, ancora sassi, ma l’acqua a portata di mano. Stava lì, a pochi metri di profondità, bastava pomparla in superficie. Devo solo copiare pensai. Tentai, ci riuscii, fu un successo».
Era orgoglioso della sua cantina di Codroipo, proprio di fronte alla base delle Frecce tricolori, e ancora di più del museo che aveva voluto all’interno, dedicato a tutto quanto ha a che fare con il vino. E da oggi l’eredità Pittaro è sulle spalle dei suoi collaboratori che, con coraggio ed entusiasmo, proveranno a valorizzarla.