ru24.pro
World News in Italian
Апрель
2024

Landini, l'uomo che volle farsi il partito

0
Sempre pIù A sinistra di Elly Schlein... Fino a prenderne il posto. Così Il leader della Cgil, con ambizioni pari solo a Giuseppe Conte, usa il vecchio sindacato per la sua nuova vita.

Tra Elly e Giuseppi, spunta Maurizio. Chi meglio del segretario generale della Cgil per metter giudizio tra i due litiganti? Non c’è pace nel centrosinistra: campo largo o camposanto, che dir si voglia. E non è soltanto la Suburra pugliese: l’ultimo, gigantesco, inciampo. Tra Pd e Cinque stelle restano incolmabili differenze e interessi divergenti. Destinati perfino ad accentuarsi, dopo le europee. Prima del cataclisma definivo, potrebbe dunque arrivare Landini: il mister Wolf rosso, maglietta della salute tutto l’anno e vacanze estive a Gabicce mare. È lui il federatore. Che già detta urgenze, aizza piazze, personifica la propaganda antigovernativa. Ogni sua mossa è strumentalmente ostile a Palazzo Chigi. Ogni suo fiato è un anelito antimeloniano. Dalla gloriosa sede nazionale del sindacato, in corso Italia a Roma, giunge sofferta conferma: le mire del segretario sono ormai sfrenate. Capeggerà un variegato arcipelago: sinistri, laburisti, pacifisti. Benedetto anche dal Vaticano. Prima però serve la consacrazione popolare.

Dopo la plebiscitaria rielezione di un anno fa, il Landini furioso è ancor più furibondo. Non ha politicizzato solo la Cgil, ma pure la triplice. Lui, ferocemente, all’opposizione: alleato con i centristi Uil e contro i moderati Cisl, sviliti a grancassa del potere. Sul palco del primo maggio saranno insieme. Ma è solo stantia circostanza. Da quasi un anno, il sindacato guidato da Luigi Sbarra non partecipa alla selva di scioperi generali. Del resto, quella della Cgil è opposizione a prescindere. Le urgenze dei lavoratori sono solo un rumore di fondo. Tanto che Landini, per esempio, viene tacciato di essere piuttosto remissivo con Stellantis, fu Fiat. Nonostante sia l’impresa più sussidiata della storia patria, smantella stabilimenti e chiede cassa integrazione. Carlo Calenda, leader di Azione, lo accusa di non voler criticare gli Elkann: «Per tenersi buona Repubblica». Segue querela dell’offesissimo. Di certo, il quotidiano continua a seguire con rara affettuosità le imprese dell’indomabile sindacalista. Ormai si muove come uno scafato capo partito. Ha creato solide alleanze con il mondo associativo e perfino con il Vaticano. Il pretesto, inizialmente, era il pacifismo. Ma ora i contatti con la Santa sede si intensificano. E proseguono proficuamente pure i rapporti con Andrea Riccardi: fondatore della Comunità di Sant’Egidio, ex ministro della Coooperazione nel governo Monti e ambasciatore di Papa Francesco. Ma il leader del sindacato s’era già premurato di toccare l’empireo. In vista della rielezione alla guida della Cgil, a dicembre 2022, incontra persino il pontefice. Udienza storica. Per la prima volta, un papa riceve ufficialmente la storica confederazione, con notevole entusiasmo tra l’altro: «Non c’è sindacato senza lavoratori e non ci sono lavoratori liberi senza sindacato».

Pane, pace e lavoro. Il cardinale Matteo Zuppi, presidente della Cei, scende così in piazza con la Cgil anche per lo sciopero generale, dalle modestissime adesioni, dopo la tremenda esplosione nella centrale idroelettrica di Bargi. Landini accusa il sistema dei subappalti, mentre ancora i sommozzatori recuperano cadaveri dalle acque. «Sciacallo!» deflagra la vicepresidente del Senato, Licia Ronzulli. «Non ha mai lavorato!» replica il segretario, celebre per la sua abilità nel piazzare gli scioperi al venerdì, in vista del weekendino.

Insomma: mentre la sinistra balbetta, spunta l’alleanza Don Camillo-Peppone. La classe operaia va in paradiso. Perché il tarantolato Landini è anche uno scaltro stratega. La Cgil continua a perdere tesserati: almeno mezzo milione nell’ultimo decennio. Il numero dei pensionati supera stabilmente quello dei lavoratori iscritti. I giovani considerano i sindacalisti dei residuati bellici. I delegati sono rimasti fermi a volantinaggi e picchetti davanti alle fabbriche. Una conclamata marginalità che ha convinto Landini a fare il grande passo. I detronizzati giallorossi non hanno un leader. E il consenso della premier, Giorgia Meloni, sembra inscalfibile.

Maurizio il furioso sogna così le oceaniche folle scese in piazza a Parigi, per contestare la riforma delle pensioni. Il nemico non è più il padrone, ma la maggioranza. E non solo in Italia. E lui vola in Francia, per incontrare gli omologhi transalpini. Propone «un’azione comune» di fronte alla «dimensione europea» del rischio. La destraccia va estirpata, in tutto il continente. E lui, modestamente, qualche ideuzza ce l’ha. I manigoldi, spiega ai colleghi, vincono per le divisioni della sinistra. Urge ricompattare il fronte.

Eccolo qui, dunque. Risoluto come mai. «Questo governo al posto di governare, comanda!». Negli ultimi mesi, organizza decine di scioperi. O meglio, proteste contro il governo: dalla legge fiscale al bilancio. Taccia i felloni di ogni nefandezza: persino del riscaldamento globale. Ma oltre a portare la maglietta della salute pure in estate, quali impellenti indicazioni potrà mai dare il rissoso segretario alle nuove generazioni? «Siamo di fronte a una tempesta mondiale. Pandemia, guerra, crisi climatica hanno una connessione evidente tra loro». Ovvero? Chissà. Il 20 aprile l’ormai duplice, Cgil e Uil, manifesta poi per la sanità. Altra battaglia mutuata da Elly. Che ha già preso a prestito pure la proposta per il salario minimo: non a caso, l’unica presentata in parlamento assieme a Giuseppi.

Adesso, però, Landini punta a monopolizzare la scena. La Cgil vuole raccogliere entro l’estate le cinquecentomila firme per proporre quattro referendum: licenziamenti, contratti a termine e sicurezza negli appalti. Quindi, chiederà al popolo di abolire il Jobs act. Ma il segretario già annuncia altri due quesiti, che nulla hanno a che fare con il mondo del lavoro: autonomia differenziata e premierato. Non sono ancora stati approvati, ma lui comunque si porta avanti: «Meloni vuole modificare la costituzione, frutto della sconfitta del nazismo e del fascismo. Vuole l’elezione diretta del presidente del consiglio. Questo significa cambiare in profondità il sistema». Insomma, laddove non arriva il centrosinistra disunito, ecco spuntare l’arcigno surrogato. Sarà il gran capo cigiellino a riunire l’opposizione. Spera di votare per i referendum nella primavera del 2025. Quando il detto centrosinistra sarà ormai disintegrato. E lui verrà acclamato come l’unico salvatore. Altro che quelle mammolette di Elly e Giuseppi. Ora c’è Maurizio.

Democrazia a rischio. Giorgia è un pericolo pubblico. Ah, com’erano invece idilliaci i tempi in cui il torvo filava d’amore e d’accordo con il governo. Lo sguardo severo tracimava ammirazione. Proprio con Conte ci fu l’abbraccio più appassionato, durante un congresso a Lecce nel settembre 2019. Già allora si confrontano su tutto. E su tutto tubano: «D’accordissimo», «molto d’accordo», «apprezzo», «condivido». C’è intesa perfino sul fantomatico e vago taglio al cuneo fiscale, quello poi introdotto da Draghi e rafforzato da Meloni nelle finanziarie. Già, anche l’ex presidente della Bce si guadagna il suo affettuoso abbraccio. Tempi strepitosi, quelli: l’Italia corre, gli operai scialano, i premier le azzeccano tutte. Poi, d’un tratto, calano le tenebre. A Palazzo Chigi arriva Giorgia Meloni. Dopo il governo giuseppino e quello dei migliori, l’Italia si trasforma in un postaccio: incidenti sul lavoro, salari da fame, libertà a rischio, concertazione bandita, manovra inadeguata, militarismo ottuso, autonomia deleteria, autoritarismo selvaggio.

Landini ora è pronto a contestare pure il menu della buvette alla camera. Colpa dei sovranisti, anche quello. O di Sbarra, che osa perfino eccepire: «Non si può sperare di mettersi la coscienza a posto con qualche scioperino in più» dice il capo della Cisl. «Non accettiamo di sottostare al pensiero unico di chi crede ancora di vivere nel Novecento e pensa ancora esistano egemonie culturali, politiche o sindacali». Ma Landini e la sua Cgil sono ormai lontani. Altro che istanze operaie, c’è da pensare alla tenuta democratica. All’armi, siam antifascisti. Complice lo sfacelo, Landini guida la lotta contro l’invasor: piglio antagonista, ideologismo sfrenato, rapporti trasversali. No, il segretario non si accontenterà di una poltroncina in parlamento come i suoi ben più concilianti predecessori: Sergio Cofferati, Guglielmo Epifani e Susanna Camusso.