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Апрель
2024

L’ultimo viaggio di Elettra, la nave-stazione di Guglielmo Marconi: quell’impresa titanica per portarla a Padriciano 

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TRIESTE Il 6 settembre 2000 la prua di Elettra, la nave-laboratorio di Guglielmo Marconi varata 120 anni fa tondi, parte per il suo ultimo viaggio. Fatta a pezzi e poi lasciata attraccata, o dimenticata, al Cantiere San Marco della Fincantieri, quella mattina infatti viene spostata dall’Arsenale alla Stazione Marittima.

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E da lì, con un trasporto eccezionale e le strade di Trieste chiuse al traffico, fino all’Area di Ricerca di Padriciano, dove tuttora riposa di fronte ai laboratori e ben visibile dall’A4.

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L’operazione è titanica e richiede centinaia di milioni di lire e mesi di tavoli tecnici tra Comune, Provincia, Autorità portuale, Anas, Act e Fondazione Marconi, che aveva interesse a trovare con rapidità adeguata sistemazione al cimelio, volendo far coincidere l’apertura delle Olimpiadi, il 15 settembre, con l’accensione delle luci di Sydney dalla prua della stessa Elettra.

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Fagioli spa è coinvolta per il sollevamento del manufatto che, imbarcato su una grossa chiatta, viene trascinato via mare fino a Molo Bersaglieri, dove ad attenderlo c’è la figlia dello scienziato, la principessa Elettra Marconi. Acegas e Telecom per la rimozione di cartelli stradali e semafori presenti lungo il percorso via terra: il reperto infatti è grande otto metri per otto e rischierebbe di tagliare i cavi del telefono su via Valdirivo.

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Alla conferenza dei servizi partecipa anche Area Science Park, in quanto ente che avrebbe ospitato il reperto, con l’ingegner Gianni Cozzi, all’epoca responsabile dell’ufficio Opere e Sicurezza. «Trasportare quella prua fu un vero grattacapo», racconta Cozzi, ricordando ancora di quel rivolo di sudore a ogni curva di via Fabio Severo fino all’università e poi al campus scientifico.

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Il baricentro della prua rendeva infatti periglioso anche il minimo spostamento. «Ci vollero almeno sette ore per spostare quell’affare», rammenta l’ingegnere. Era davvero pesante e fragilissimo, quell’«affare», testimonianza della storica imbarcazione varata il 27 marzo 1904 col nome di “Rovenska”, bandiera battente della Marina da guerra austriaca.

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Militarizzato allo scoppio della Grande Guerra, nel 1919 lo yacht venne acquistato dal premio Nobel Guglielmo Marconi, che lo trasformò in una nave-laboratorio: a bordo vennero sistemate trasmittenti e riceventi, nonché alzati gli alberi per le antenne. In pratica una stazione mobile, e così nacque Elettra, passata alla bandiera italiana nel 1921.

A bordo dello yacht lo scienziato avviò i propri esperimenti sulle onde radio: fu un panfilo «simbolo di progresso tecnologico», riflette oggi Caterina Petrillo, presidente di Area Science Park dove la prua è conservata per «ricordare il valore della sperimentazione scientifica, che procede anche per errori, e della perseveranza in condizioni di difficoltà».

Le stesse in cui operò Marconi che, dai ponti bianchi della sua nave-laboratorio, riuscì a inviare nell’etere onde capaci di attraversare l’oceano.

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Nei ricordi di Cozzi, però, di candido all’Elettra rimane ben poco: è semmai una fragile ferraglia, squarciata dai bombardamenti inglesi che nel 1944 – dopo che la nave, passata al Ministero delle Poste e Telecomunicazioni e poi requisita dai tedeschi, fu trasformata in unità bellica – ne determinarono l’affondamento a pochi chilometri da Zara. Lì Elettra rimase sommersa fino al 1962, quando fu trascinata a Trieste e, nel 1977, fatta a pezzettini e sparpagliata in diversi musei.

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La prua, a quel punto, finì dimenticata nell’Arsenale triestino, dove per anni rimase nascosta alla vista. Fino al 6 settembre 2000. «Fu un vero grattacapo: ma che emozione vederla spuntare dall’Area di Ricerca, come se partisse ancora», dice Cozzi, che quest’anno andrà in pensione al termine di una lunga carriera. Nei cassetti dell’ufficio Opere e Impianti, di cui da allora è diventato direttore, conserva ancora tutte le schede tecniche di quell’impresa seguita nei minimi dettagli, dalla realizzazione dei basamenti sui quali riposa il cimelio, al restauro, terminato nel 2005. «Fu anche quella un’opera titanica», racconta l’ingegnere: per recuperare la prua, pulirla dalla ruggine e smaltarla, «dovemmo ricoprirla con un enorme pallone, grande come un campo da tennis