ru24.pro
World News in Italian
Апрель
2024

Argentina: il miracolo possibile di Milei

0


Si è insediato appena nel dicembre scorso, eppure il nuovo presidente di un’Argentina allo stremo sta dimostrando che le sue ricette turbo-liberiste potrebbero funzionare. Mentre tanti scommettevano che avrebbe portato il suo Paese nel più profondo baratro.


«Impressionanti». Così il Fondo monetario internazionale ha definito i progressi compiuti dal governo Milei, insediatosi neanche cinque mesi fa alla Casa Rosada. «A gennaio e febbraio è stato registrato un surplus fiscale per la prima volta in oltre un decennio, le riserve internazionali sono quadruplicate, l’inflazione sta scendendo più velocemente del previsto e gli indicatori di mercato, come la variazione del tasso di cambio e lo spread sovrano, ovvero il costo del debito estero di un paese, continuano a migliorare» ha dichiarato il 4 aprile Julie Kozack, direttrice della comunicazione dell’Fmi. A detta della massima agenzia finanziaria delle Nazioni Unite sostenuta da 190 Paesi membri e che è considerata il prestatore globale di ultima istanza per i governi e uno dei principali sostenitori della stabilità del tasso di cambio mondiale, quello di Milei è un «ambizioso piano di stabilizzazione macroeconomica» incentrato su un «forte ancoraggio fiscale» che elimina qualsiasi finanziamento pubblico da parte della Banca centrale anche se «non è privo di rischi sociali».

Quanto dettagliato dal Fondo monetario non è poca cosa. Soprattutto perché da quando Milei è al potere, il 10 dicembre scorso, il suo governo è già stato oggetto di uno sciopero generale e di centinaia di proteste, anche violente, di parte della sinistra radicale e dei sindacati, che in Argentina sono controllati dal peronismo legato a filo doppio all’ex presidente Cristina Kirchner. Si manifesta tra l’altro per le privatizzazioni (l’ultima notizia è sul progetto di vendere le carceri a società immobiliari, per crearne altre lontane dalle città), per i tagli alle mense, per il crollo degli stipendi (diminuiti del 17 per cento tra dicembre 2023 e gennaio 2024), compresi quegli degli insegnanti, per i licenziamenti nel settore pubblico: 15 mila i contratti cancellati. Ma protesta pure chi con il nuovo presidente ha perso i benefici milionari erogati dal kirchnerismo. Così i piqueteros, come si chiama chi blocca le strade spesso distruggendo beni pubblici e veicoli lanciando sassi. «Milei sta togliendo ai sindacati i privilegi e la sta facendo finita con il business della fame», dettaglia al canale Todo Noticias un dipendente statale cui i piqueteros lo scorso 10 aprile hanno bruciato l’auto durante una manifestazione nella capitale argentina.

Nonostante questa conflittualità sociale, per ora tutti i sondaggi danno ragione a Milei, il cui gradimento popolare non accenna a diminuire, rimanendo sopra il 50 per cento. In Sudamerica, solo il presidente dell’Ecuador, Daniel Noboa, e quello dell’Uruguay, Luis Alberto Lacalle Pou (per la cronaca, anche loro di destra) fanno meglio di lui secondo la CB Consultora Opinión Pública, azienda specializzata nell’analisi del clima sociale e nella proiezione degli scenari elettorali in questa parte di mondo. Se i kirchneristi ed i radicali di sinistra protestano con sempre maggiore intensità, il Banco Galicia (una delle banche private più importanti dell’Argentina) ha invece acquistato a inizio aprile tutte le attività locali del colosso del banking svizzero Hsbc, diventando così il maggior istituto di credito del Paese. Si tratta di un accordo da quasi 500 milioni di euro che è, soprattutto, una scommessa sul fatto che il nuovo presidente ridurrà presto l’inflazione del 275 per cento, oggi la seconda più alta al mondo. Come dice lo stesso gruppo Galicia, l’intenzione è «far crescere e incrementare il portafoglio clienti per essere preparati ed essere più redditizi in un eventuale contesto di crescita del credito».

Si crede in Milei insomma, l’uomo che in gennaio ha scosso il Forum economico mondiale di Davos (ancora risuonano le prime parole del suo intervento: «Oggi sono qui per dirvi che l’Occidente è in pericolo. È in pericolo perché coloro che dovrebbero difendere i valori occidentali si ritrovano cooptati da una visione del mondo che porta inesorabilmente al socialismo e, di conseguenza, alla povertà»). E per rimarcare il suo pensiero, in maggio pubblicherà il 18esimo libro, intitolato Capitalismo, socialismo e la trappola neoclassica, letto in anteprima da Panorama. Passando dalla teoria economica all’azione politica, il presidente argentino snocciola una montagna di dati per sottolineare la «superiorità» del capitalismo rispetto ad altri modelli di produzione.

Partendo da un approccio monetarista figlio della scuola austriaca del premio Nobel Friedrich August von Hayek, Milei dettaglia la sua «battaglia culturale» contro quelle che considera idee «socialiste», «collettiviste» e «marxiste». Ecco perché ha inserito gli economisti neoclassici nel titolo e perché questo libro è la sua risposta proprio a loro: «Quando la realtà non si adatta a un modello, la cosa più sensata da fare dovrebbe essere rivedere tale sistema e cercare di individuarne gli errori. Tuttavia, per i neoclassici e per i neokeynesiani, quando il loro paradigma non si adatta più al mondo reale, non viene scartato ma la colpa diventa della realtà e sempre con la stessa diagnosi: il fallimento del mercato». Certo è che oltre alle teorie, le proteste impongono a Milei di agire in tempi brevi non solo per ridurre l’inflazione ma anche la povertà che secondo gli ultimi dati di marzo dell’Indec, l’Istat argentino, è arrivata al 41,7 per cento, e la miseria, salita all’11,9 per cento. Anche per questo, el presidente continua il suo riavvicinamento all’Occidente, in particolare agli Stati Uniti. In una delle ultime mosse, a inizio aprile ha incontrato ad Ushuaia il capo del Comando Sud degli Usa, il generale Laura Richardson, gettando le basi per l’installazione di una base militare di Washington nell’arcipelago della Terra del Fuoco. «È il primo passo verso il recupero delle Malvinas» ha dichiarato Milei parlando delle isole britanniche Falkland (oggetto di una guerra persa contro Londra nel 1982), chiarendo che si tratta di «un processo lungo» e che intende farlo «attraverso i canali diplomatici». «Il mio alleato sono gli Stati Uniti, siano essi democratici o repubblicani» ha chiarito, aggiungendo che «la base navale congiunta sarà parte dell’integrazione nel mondo occidentale e sviluppato per rafforzare la sovranità di fronte all’invasione di navi straniere (cinesi, ndr) che per anni hanno avuto mano libera per saccheggiare il nostro mare».

Sempre nel solco di un risoluto sguardo al Nord, ha incontrato Elon Musk ad Austin, in Texas, lo scorso 12 aprile. Obiettivo dei due: fare business a 360 gradi e senza censure. In concreto, decuplicare gli investimenti del visionario imprenditore in Argentina legati all’industria automobilistica e alle comunicazioni globali (StarLink). Se l’ambizioso progetto della esplosiva coppia andrà in porto lo scopriremo a breve. Intanto Milei ha ricevuto una onorificenza dalla comunità ebraica di Miami per la sua difesa dello Stato di Israele nella guerra contro il gruppo terroristico Hamas, e, il 16 aprile, si è recato a Copenaghen per firmare un accordo di acquisto di 24 velivoli F/16 Falcon Fighting per l’Aeronautica militare. L’Argentina vuole infatti essere un «partner globale» della Nato, aggiungendosi così alla Colombia, il solo Paese sudamericano con tale status. Questo upgrade garantirebbe impegni e benefici molto maggiori con l’organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord rispetto a quelli che Buenos Aires ha oggi come «alleato extra-Nato», la stessa categoria del Brasile. Il progetto di Milei è di entrarne a far parte al più presto e, a dimostrazione della sua determinazione, lo scorso 8 aprile Patricia Bullrich, la sua ministra della Sicurezza, è andata a Washington per avviare una fitta agenda di incontri con Cia, Fbi e Organizzazione degli Stati americani.

Era accompagnata dal ministro dell’Economia, Luis Caputo, che ha incontrato Kristalina Georgieva, la direttrice generale del Fmi, rappresentanti del Segretariato del Tesoro Usa e della Banca Mondiale. Gli Usa sono infatti molto preoccupati per l’offensiva cinese in America Latina così come per le strette relazioni tra i gruppi terroristici che rispondono all’Iran (Hezbollah in primis) ed i cartelli della droga che operano nel Cono Sud, oltre che per gli attacchi informatici coordinati tra Pechino e Mosca nella regione. Oggi, di fatto, l’Argentina è l’unica nazione dell’America Latina a condividere in toto le preoccupazioni di Washington e la Casa Bianca sa bene che la stabilità del governo Milei è fondamentale per non perdere il suo principale alleato nella regione. Ma l’invito del premier Giorgia Meloni a partecipare al vertice del G7 ospitato in Puglia, in giugno, dimostra che è un uomo importante per tutto l’Occidente. In «casa» sua, a detta dei sondaggi, la metà degli argentini crede che i prossimi sei mesi saranno migliori degli ultimi. Se si avverrà, Milei potrebbe davvero farcela a fare ripartire il Paese del tango.