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Апрель
2024

Vino “no alcol”: l’Oltrepo resta prudente

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Verona. Vino no alcol? «Vediamo quale sarà la tendenza, ma non demonizziamo il vino e preserviamo le nostre tradizioni». Al Vinitaly 2024, che si è chiuso ieri, il tema della dealcolazione del vino, per la messa in commercio di prodotti che piacciono soprattutto ai mercati del Nord Europa, è stato tra i più trattati. Per i vignaioli oltrepadani, è un argomento da prendere con le pinze, tra totalmente contrari, dubbiosi e possibilisti solo per fermare la sovrapproduzione e aprirsi a nuovi mercati, «ma le nostre denominazioni non si toccano».

«Non è una sfida»

«Non possiamo pensare che i vini “si alcol” siano anche “no alcol” anche perché sono mercati diversi – ragiona il direttore del Consorzio, Carlo Veronese –. Non dico di no ai vini “no alcol”: in un momento in cui siamo in sovrapproduzione e c’è una parte del mondo che non beve alcol, se c’è un’azienda che vuole farlo, con un nome di fantasia, lo può fare, ma non possiamo pensare che le nostre denominazioni, che sono la tradizione del territorio, diventino vini no alcol».

Per Giulio Fiamberti, produttore di Canneto Pavese, «dipende se si guarda all’Italia o al mondo, dove si sta già parlando di questa tendenza – afferma –. Non dimentichiamoci che anche in Oltrepo abbiamo dei vini più moderni in questo senso, come il Sangue di Giuda o la Bonarda, se ripensata in un’altra ottica». Il vignaiolo Andrea Picchioni di Canneto Pavese utilizza una massima del suo maestro Lino Maga: «Lino diceva che “il vino è una cosa seria”, poi ci sono le bevande a base di vino dealcolato che non sono vino – sostiene –. Il vino nasce da una vigna e ha una storia che non può essere appiattita. E poi, se un vino è di alta qualità, va già a livellare il consumo di alcol, perché se ne beve poco. L’alcol non va demonizzato, anzi dovremmo stare più attenti a quello che si mangia».

Sara Padroggi, cotitolare dell’azienda agricola Cà del Gè di Montalto Pavese, pensa che «sia prematuro parlarne adesso, è vero che bisogna stare al passo con i tempi, ma credo che dobbiamo ancora un po’ spingere i prodotti che abbiamo già».

Anche tra i giovani produttori c’è prudenza: «Personalmente aspetterei di vedere dove andrà questa tendenza e se sarà una cosa affermata o solo una moda passeggera – il pensiero di Flavia Marazzi di Cantina Scuropasso a Pietra de’ Giorgi –. Sono convinta che il vino non sia soltanto alcol, ma un concetto culturale che passa anche dall’essere custodi di un territorio. I consumi sono cambiati e dobbiamo promuovere il bere consapevole per responsabilizzare le persone. Mi è capitato di assaggiare prodotti dealcolati, ma non sono rispondenti alla mia idea di vino».

Per Davide Delmonte, produttore under 35 dell’azienda agricola Il Poggiolo di Montù Beccaria, «per come si è ridotto il consumo di vino, bisogna trovare una soluzione – sottolinea – O l’estirpo, a malincuore, dei vigneti o produrre qualcosa che il mercato possa assorbire in altro modo. Il vino dealcolato va regolamentato, altrimenti può essere un’arma a doppio taglio, ma può essere un modo per ridurre le scorte in cantina che non fanno bene al mercato perché, quando c’è una grande offerta, i prezzi scendono».Oliviero Maggi