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Апрель
2024

Taiwan, il grattacielo più alto ha retto grazie a un’opera veneta

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Un’azienda veneta ha salvato il grattacielo dei record nella Taiwan funestata dal terremoto: se il palazzo Taipei 101 è ancora in piedi con i suoi 508 metri d’altezza è grazie al lavoro della Fip Mec di Selvazzano (Padova), che nel 2004 realizzò una maxi sfera tra l’87esimo e il 92esimo piano. Un’appendice mastodontica in grado di riprodurre il principio del pendolo, per assorbire armonicamente scosse di terremoto e raffiche di vento dei tifoni.

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“Un pendolo che agisce in contrapposizione di fase rispetto alle oscillazioni indotte dalla torre e quindi le diminuisce notevolmente”, spiega Renato Vitaliani, ex docente di Ingegneria civile e ambientale dell'Università di Padova e autore del collaudo di quell’opera.

“Attorno vi sono dei dissipatori energetici, dei sistemi smorzanti” continua Vitaliani “che bloccano il pendolo quando il sisma termina per evitare danni alla struttura”.

A livello tecnico la sfera, del diametro di 5 metri e mezzo, è formata da 41 dischi e sostenuta da otto pompe idrauliche. Così controbilancia le oscillazioni, come già accaduto durante la sua costruzione, quando resistette ad una scossa di magnitudo 6.8.

“I progettisti erano olandesi ma la realizzammo noi” ricorda Donatella Chiarotto, che all’epoca era presidente del consiglio d’amministrazione. Negli anni successivi, poi, l’azienda ebbe varie traversie sul fronte giudiziario e poi anche economico, con l’epilogo della cessione. Ma quella è un’altra storia. Ciò che in questi giorni il mondo sta guardando è la torre più alta di Taiwan, l’undicesima più alta al mondo, che ha resistito ad un terremoto devastante grazie a un’opera realizzata da mani italiane, venete.

“Sapevo che funzionava”, dice orgogliosa Chiarotto. “Ci sono già state diverse sollecitazioni nel corso degli anni. La stessa applicazione è stata poi fatta anche per due torri a Manila, nelle Filippine. È comunque un orgoglio, è bello quando si parla di un’azienda italiana che sa lavorare bene anche all’estero. Aver dato un contributo alla sicurezza delle persone mi fa piacere”.

C’è un aneddoto che sia il professore dell’Università di Padova che l’ex presidente del Cda di Fip ricordano. “Ci fu richiesto che un progettista collaudasse quel dispositivo ma i committenti chiedevano una polizza esorbitante, per questo pagammo noi”, racconta Chiarotto. “Volevano una polizza da un miliardo di euro, io non me la sarei potuta permettere. E così pagò Fip”, ricorda l’ingegnere. “E’ bello constatare, a distanza di anni, che il lavoro fu eccellente”.