Gaza, così la destra israeliana ha “messianizzato” la guerra
La destra israeliana ha “messianizzato” la guerra. Come nel ’67. In questa visione, la stessa tragedia del 7 ottobre viene rielaborata come occasione per realizzare il disegno del Grande Israele, dal “mare al fiume”. Ricolonizzare Gaza. Annettere la Cisgiordania. Globalist lo ha raccontato con il prezioso contributo con il prezioso contributo delle più autorevoli firme del giornalismo israeliano. E oggi con un illuminante reportage dalla West Bank di Francesca Mannocchi su La Stampa.
Scrive Mannocchi: “L’Accademia Bnei David è stata la prima scuola di preparazione militare in Israele. È stata fondata nel 1988 a Eli dai due rabbini Eli Sadan e Yi’gal Levinstein per incoraggiare i giovani religiosi-sionisti ad assumere ruoli apicali nell’esercito in un momento in cui i militari segnalavano un calo nella motivazione delle reclute. Oggi è parte vitale dell’insediamento, che ha più rabbini per metro quadrato di qualsiasi altro in Cisgiordania. Molti tra gli insegnanti, gli amministratori e gli studenti vivono a Eli, tra caravan dei nuovi coloni arrivati e grandi progetti edilizi per l’allargamento della colonia in cui oggi vivono un totale di 4500 persone. Uno dei fondatori, il rabbino Eli Sadan è una figura controversa in Israele: è da molti considerato la più importante e influente figura della comunità religiosa sionista degli ultimi trent’anni, ed è visto dai più liberali come un religioso militarizzato che forma i suoi studenti per aumentare il peso del sionismo religioso nella politica e nell’esercito. È a lui che si deve l’impatto che oggi ha il sionismo religioso nell’esercito e l’aumento delle scuole premilitari. Nato a Budapest nel 1948, Sadan, dopo il trasferimento in Israele, ha prestato servizio nella Brigata paracadutisti, ha studiato per 13 anni a Yeshivat Merkaz Harav, e poi ha fondato l’accademia. Da lì, negli anni, ha diffuso la sua influenza. Sebbene, infatti, il sionismo religioso onorasse il servizio militare, i soldati che sostenevano il sionismo religioso raramente diventavano ufficiali: non solo l’esercito era distante da quelle posizioni, ma pochi ufficiali consideravano i ragazzi della yeshivah validi per crescere nell’esercito. Sadan ha trovato la formula: un anno preparatorio che unisse lo studio della religione all’addestramento psicologico e fisico prima della leva, per aiutare i soldati religiosi a diventare ufficiali senza perdere la propria identità, considerando cioè il servizio militare come una grande mitzvah (editto ebraico). «Prestare servizio nell’esercito è un dovere civile – ha detto – ma anche una grande mitzvah della Torah». All’inizio, trentacinque anni fa, Sadan aveva promosso il suo piano ad alcuni diplomati delle scuole superiori, ai loro genitori e ai vertici dell’esercito, che accettarono di posticipare di un anno il servizio di leva obbligatorio delle reclute interessate, mentre finanziavano il programma di studi. Di tutti gli studenti dell’Accademia Bnei David, usualmente 500, circa e il 40% diventa ufficiale o entra a far parte di unità combattenti d’élite, tra gli ex studenti ci sono il generale Avi Bluth, comandante delle forze armate della divisione Giudea-Samaria, cioè le forze di occupazione in Cisgiordania, i capi delle brigate Givati ed Efraim nel Nord del Paese, e il ministro Bezalel Smotrich, molto vicino al rabbino Sadan, che ha vinto anche il Premio Israele – la più alta onorificenza civile del Paese – per il suo contributo all’istruzione. Oggi in Israele ci sono più di 50 scuole premilitari, per un totale di tremila studenti, secondo studi accademici negli ultimi vent’anni il numero di ufficiali sionisti-religiosi nell’esercito ha visto un enorme aumento e da quando è iniziata la guerra le richieste per iscriversi alla scuola si sono moltiplicate, e il peso del sionismo religioso nell’esercito è sempre più significativo. In un filmato del 2019, il preside della scuola, il rabbino Eliezer Kashtiel parlando dei palestinesi li aveva definiva «geneticamente inferiori» ritenendo «necessario che fossero ridotti in schiavitù». L’altro fondatore dell’Accademia, il rabbino Yi’gal Levinstein l’anno scorso ha dichiarato che i palestinesi debbano «sentirsi minacciati ancor prima di agire». Sostenendo la necessità di continuare a costruire insediamenti e allargare quelli esistenti, ha detto «si fermeranno se costruiamo un nuovo insediamento dopo ogni attacco terroristico e se le loro famiglie vengono esiliate a Gaza». Non c’era stata la strage del 7 ottobre, non era iniziata la guerra in corso. Oggi, che le lezioni preparano i soldati che la combatteranno, il rabbino Yishai Tzur ha le idee molto chiare: «Gaza è un simbolo per noi. Nei miei sogni i palestinesi dovrebbero andarsene tutti, ne sarei molto felice, ma credo lo faranno». Ha imparato dai testi che Gaza «è sempre stata un luogo duro per gli ebrei, e questa – dice – è solo la continuazione di una guerra che va avanti da qualche migliaio di anni, che oggi è anche una guerra in cui Israele non deve discutere né internamente né con gli alleati». «Se cominciassimo a discutere se i nostri metodi siano giusti o meno, ci fermeremmo. Le cose nell’esercito, invece, devono essere molto chiare. Ci sono i buoni e i cattivi. Se fai parte dei buoni, vinci. Se invece cominciamo a farci domande su tutto, sui civili, sulla povera gente a Gaza, su cosa ne penserà il mondo, ci bloccheremo e dovremo prenderci cura di due milioni di persone. Invece dobbiamo andare avanti e vincere». La settimana scorsa il ministro della Difesa Yoav Gallant ha visitato l’accademia. Quindici ex studenti sono morti a Gaza, e Gallant è andato a Eli discutere con i giovani «dell’importanza di bilanciare il servizio militare con gli obblighi religiosi», così recita una nota del suo ufficio stampa. Gli studenti dell’accademia religiosa sionista, ha detto, sono la prova che «è possibile tenere un’arma in una mano e un libro (di studi ebraici) nell’altra». Ha detto loro che Israele darà la caccia a Hamas «ovunque, in tutto Israele e in tutto il Medio Oriente» e che la guerra a Gaza è sia l’inizio che la fine di un’era, un viaggio che «ci guiderà per gli anni a venire e il modo in cui vivremo in Medio Oriente». Ha ricordato agli studenti che studio e lotta sono i due ambiti che garantiscono il futuro dello Stato di Israele, e che in entrambi c’è la garanzia della sua protezione: «Penso che la fede e lo studio della Torah siano uno dei fondamenti più importanti del popolo di Israele, e quando vedo che avviene insieme a simili eccellenze sul campo di battaglia, voglio dirvi che come ministro sono orgoglioso che ci siano soldati come voi nell’Idf». Il rabbino Yishai Tzur sostiene che la guerra a Gaza, il numero delle vittime civili, le critiche che circondano la crisi umanitaria in atto nella Striscia, non abbiano generato nei suoi studenti nuove domande. Nessun interrogativo. Per lui, ed è questo che insegna agli studenti dell’Accademia che andranno al fronte, non è necessario interrogarsi sul destino dei civili, nemmeno troppo sul diritto internazionale. «Quando gli americani hanno sconfitto i giapponesi, hanno fatto qualcosa di nuovo», dice evocando la Seconda Guerra Mondiale, l’atomica, Hiroshima e Nagasaki. «Durante la guerra succedono cose atroci. Per noi è duro bombardare uccidere, sapere che possono morire di fame. Ma quello che vedo è che Israele sta prendendo il controllo e che dobbiamo andare avanti».
Eretz Israel, progetto fallito?
Ne scrive Dmitry Shumsky su Haaretz: “Per quanto possa sembrare paradossale, la risposta del ministro di estrema destra Bezalel Smotrich, ministro delle finanze per l’occupazione e gli insediamenti, ai tentennamenti del primo ministro Benjamin Netanyahu sulla possibilità di creare uno stato palestinese alla fine della guerra, è motivo di un po’ di ottimismo. “Gli amici di Israele devono capire che spingendo per la creazione di uno stato palestinese si assicurano il prossimo massacro, Dio non voglia, e mettono a rischio l’esistenza dello Stato di Israele”, ha detto il tesoriere delle colline una settimana e mezza fa. “Come è successo in Israele, anche la Casa Bianca deve disabituarsi alle idee che hanno portato al disastro nazionale di Israele”. Si tratta dello stesso uomo che solo 10 mesi fa, in occasione di una conferenza a Parigi, ha affermato che “la Casa Bianca ha bisogno di sentire la verità: non c’è nessuna Palestina” da un podio su cui campeggiava l’emblema dell’Irgun con la Grande Terra di Israele, compresa tutta la Giordania? Un fanatico portavoce religioso-nazionalista della Grande Israele non dovrebbe essere coerente nell’opporsi a uno stato palestinese su basi ideologiche e non pragmatiche? Sembra che Smotrich stia lentamente iniziando a rendersi conto che – nonostante la predica ai convertiti di questa settimana alla conferenza sul trasferimento della popolazione di Gaza presso l’International Convention Center di Gerusalemme – l’ideologia dei coloni ha subito una sconfitta nella sua battaglia per i cuori e le menti della maggior parte degli israeliani. Pertanto, Smotrich non ha altra scelta che cercare di imbrigliarli nel suo carro messianico adottando il discorso della sicurezza. Il problema è che quando lo fa, le sue argomentazioni crollano una dopo l’altra. Innanzitutto, contrariamente alla palese menzogna ripetuta più e più volte dalla destra smotrichiana e bibi-ista, non è stata la politica di “spingere per uno stato palestinese” a crollare con il disastro del 7 ottobre, ma piuttosto l’idea di mantenere lo status quo e di opporsi a uno stato palestinese, il che richiedeva di sostenere indirettamente ma coerentemente Hamas a spese dell’Autorità Palestinese. Smotrich aveva aderito a questa strategia perdente ideata da Benjamin Netanyahu. Nel 2019 Netanyahu ha dichiarato che “chiunque si opponga alla creazione di uno Stato palestinese deve sostenere il trasferimento di denaro dal Qatar ad Hamas. È così che impediremo che venga istituito”. Quattro anni prima, Smotrich aveva utilizzato la stessa logica contorta in un’intervista al Knesset Channel, affermando che Hamas non è altro che una “risorsa” politica per Israele proprio perché è un’organizzazione terroristica. L’AP è solo un peso.
In secondo luogo, il tweet di Smotrich sottintende che uno stato palestinese è già stato istituito una volta (a Gaza), il che ha portato al massacro del 7 ottobre, e che quindi accettare di istituire uno stato palestinese in Cisgiordania e a Gaza porterebbe ad altri episodi simili. Anche questa è una menzogna senza fondamento. La Striscia di Gaza di Hamas non è mai stata uno stato indipendente, ma piuttosto un’area autonoma soggetta al controllo israeliano nel modo più assoluto: Israele controllava il registro della popolazione di Gaza e la sua economia, la riforniva di acqua e di elettricità e permetteva, come già detto, un massiccio sostegno finanziario ad Hamas affinché l’organizzazione terroristica palestinese potesse mantenersi e permettere a Israele di sfuggire alle pressioni della comunità internazionale per la creazione di due stati.
Di fatto, la Gaza di Hamas è il cortile di Israele; anche se non è stata creata attivamente da Israele, è stata senza dubbio alimentata come “risorsa” politica, come la definisce Smotrich. Inoltre, anche se Israele ha lanciato di tanto in tanto attacchi militari limitati contro Hamas, il suo approccio di base alla sicurezza di Gaza non è stato un approccio militare, ma piuttosto di polizia, in linea con la situazione di fatto di “Stato unico” che prevale tra il fiume e il mare. Ahimè, è stato questo approccio sbagliato a portare al fallimento del 7 ottobre. Quella che è stata percepita come la necessità più urgente di fornire servizi di polizia ai coloni della Cisgiordania ha fatto sì che il grosso delle truppe della Divisione di Gaza venisse trasferito a garantire le preghiere a Hawara e alle tombe di Giuseppe e Rachele. L’unico modo per sradicare il disastroso approccio “poliziesco” di Israele nei confronti dei palestinesi è dividere la terra tra il fiume e il mare in due stati nazionali, separati e protetti l’uno dall’altro da un confine internazionale concordato tra loro e riconosciuto dalla comunità internazionale. Pertanto, contrariamente alle parole di Smotrich, la spinta per la creazione di uno stato palestinese non è una spinta per il prossimo massacro, ma al contrario, l’unico modo per prevenirlo e garantire la pace e la sicurezza dello Stato di Israele. Questa verità – così come il contributo deliberato di Netanyahu al rafforzamento di Hamas, facendo una scommessa fatale sulla vita dei cittadini israeliani – non è ancora stata interiorizzata dalla maggior parte degli israeliani. Coloro che sostengono la divisione della terra hanno ancora molto lavoro da fare per convincere l’opinione pubblica israeliana. Una cosa che può confortarci, anche in questa fase, è che mentre il paradigma dei due Stati è ancora lontano dal vincere, l’ideologia della Grande Terra di Israele ha già perso”, conclude Dmitry Shumsky.
Staremo a vedere.
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