Vandali contro il murale di Djindjić a Belgrado nell’anniversario dell’assassinio
Schizzi di vernice rossa come il sangue sul volto, scritte nere ingiuriose vergate poco sotto. È lo scenario visto ieri nel cuore di Belgrado, capitale di quella Serbia che ieri stesso ricordava il ventunesimo anniversario dell’assassinio dell’allora premier Zoran Djindjić, ucciso proprio il 12 marzo del 2003: la premier uscente Ana Brnabić, accompagnata dal ministro degli esteri Ivica Dačić e da numerosi altri componenti del suo governo, ha deposto una corona di fiori nel luogo dell’assassinio di quello che fu il primo capo di governo riformista nella Serbia del dopo Milosević.
Ma a qualcuno, nel Paese balcanico, la figura di Djindjić dà ancora fastidio. Lo fa sicuramente agli ignoti che hanno vandalizzato, poco prima della ricorrenza, lo storico murale dedicato all'ex premier serbo, realizzato sei anni fa su una facciata di un palazzo a ridosso della Facoltà di Filologia, nel pieno centro della capitale. Contro il murale qualcuno ha lanciato vernice rossa sfregiando il volto del primo ministro assassinato, mentre è rimasta intatta la scritta originale «guardate al futuro». Poco sotto sono comparsi slogan offensivi contro Djindjić e contro chi avrebbe approfittato delle privatizzazioni.
Non è tuttavia la prima volta che qualcuno prende di mira il murale, che era stato restaurato per l’ultima volta di recente grazie all’intervento generoso e spontaneo di studenti belgradesi. Il primo episodio di vandalismo si era verificato poco tempo dopo la comparsa del murale stesso nel 2018, murale che aveva forme diverse dall’attuale: uno sfregio ripetuto svariate volte negli ultimi anni. Quest’ultimo tuttavia colpisce ancor di più perché avvenuto proprio a cavallo del ventunesimo anniversario di un attentato che sconvolse la Serbia e che rimane una ferita aperta in parte della popolazione e della società civile, con tanti belgradesi che anche ieri hanno deposto fiori in memoria di Djindjić.
Djindjić che, fino all’omicidio, si guadagnò la fama di statista coraggioso, forse l’unico capace di fare i conti col passato, mettendo in cantiere riforme anche dolorose per condurre velocemente nell’Unione europea la Serbia da poco uscita dal dramma delle guerre balcaniche. Per il suo assassinio sono stati condannati due ufficiali dei servizi di sicurezza del tempo e svariati complici, ma eventuali mandanti politici rimangono tuttora sconosciuti.