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Март
2024

La Commissione Ue spinge la Bosnia: «Avviare i negoziati d’adesione»

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BELGRADO La gran parte delle condizioni stabilite l’anno scorso è stata finalmente rispettata. E allora si accende una luce verde essenziale, anche se quella definitiva, attesa a fine marzo, è ancora in dubbio a causa di qualche perplessità irrisolta di certe capitali europee.

La luce verde si accende per la Bosnia-Erzegovina, che ha martedì ricevuto dalla Commissione europea un’importantissima raccomandazione. È quella che riguarda l’apertura dei negoziati d’adesione, un passo da non posticipare oltre. Così ha stabilito l’esecutivo Ue, riconoscendo che «la Bosnia ha fatto più progressi in un anno che nell'ultimo decennio» e per questo merita l’ambìto premio, ha anticipato ieri mattina la presidente della Commissione Ursula von der Leyen, in un discorso alla plenaria dell’Europarlamento.

Le parole di von der Leyen fanno riferimento ai criteri stabiliti da Bruxelles: condizioni che il Paese balcanico, candidato dal 2022, doveva rispettare per ottenere via libera alla pari di Ucraina e Moldova, che già a metà dicembre del 2023 avevano visto aprirsi i negoziati. Negli ultimi mesi Sarajevo si è così messa d’impegno, accelerando riforme che erano rimaste bloccate in passato. La Bosnia è dunque riuscita ad allinearsi alla politica estera e di sicurezza dell’Unione europea, ha sbloccato leggi in merito a prevenzione del conflitto d’interessi e anti-riciclaggio, ha varato norme contro il finanziamento del terrorismo. Ha poi migliorato il controllo delle frontiere mentre i negoziati con Frontex, l’agenzia Ue per il monitoraggio dei confini, sono destinati a cominciare a breve.

Intanto martedì il governo centrale ha messo le basi per una riforma ormai improrogabile, quella sulla giustizia, anche se le norme non sono state ancora approvate definitivamente dal Consiglio dei ministri. Passi avanti che comunque ci sono stati e che hanno spinto von der Leyen ad ammettere che la Bosnia-Erzegovina «sta dimostrando di essere in grado di allinearsi ai criteri di adesione e all’aspirazione dei suoi cittadini a far parte della nostra famiglia».

E la Commissione ha risposto con favore, con la richiesta formale dell’avvio dei negoziati. «Abbiamo deciso di raccomandare l’inizio dei negoziati», ha annunciato von der Leyen, mossa poi ufficializzata dalla Commissione ieri pomeriggio con un rapporto ad hoc in cui si lodano i passi avanti in materia di lotta a corruzione, terrorismo, migrazioni fatti da Sarajevo.

«Non c’è maggior soddisfazione delle parole pronunciate da von der Leyen, abbiamo aperto la porta principale della Ue e non c’è ritorno» al passato, ha potuto così esultare il primo ministro della Federazione, Nermin Niksić, mentre la premier bosniaca Borjana Krišto ha promesso di andare avanti ancora con le riforme. Si tratta di un «passo cruciale per il futuro e la prosperità», ha affermato anche l’Alto rappresentante, Christian Schmidt.

Ma, come spesso accade in questa parte d’Europa, anche le buone notizie nascondono zone d’ombra. «Senza la data» d’inizio dei negoziati l’annuncio di Bruxelles «non significa molto», ha raffreddato gli entusiasmi il presidente della Republika Srpska, il nazionalista filorusso Milorad Dodik. Non è accaduto «niente di spettacolare», ha fatto eco il premier serbo-bosniaco Radovan Visković, mentre per le strade di Sarajevo non si festeggia. Comunque «non entreremo nella Ue neppure tra vent’anni», la vox populi raccolta dai media locali. Ma c’è anche la consapevolezza che la raccomandazione della Commissione dovrà passare il 21-22 marzo al vaglio del Consiglio europeo.

E i “rumor” nei corridoi del potere a Bruxelles segnalano che, malgrado le pressioni pro-Sarajevo di Italia, Austria, Slovenia, Croazia e Ungheria, alcune capitali sarebbero ancora poco propense all’apertura dei negoziati e soprattutto a “legare” le candidature di Kiev e Chisinau a quella di Sarajevo. Inoltre grandi potenze come Germania e Francia sarebbero più focalizzate sul voto delle Europee piuttosto che sull’allargamento.

Come andrà? La palla è ora tutta nelle mani del Consiglio.