Il crollo delle nascite colpisce lo sport padovano: società a rischio chiusura
Solo nel Comune di Padova le società sportive sono oltre 700, il 35% affiliate alla Figc (calcio) e poco più del 20% alla Fip (basket). Un patrimonio enorme di passione e educazione per migliaia di bambini. Ma anche una barca che naviga a tutta velocità contro un iceberg di cui per ora si vede solo la punta: la crisi demografica.
I numeri lo dicono chiaramente. I nati del biennio 2017-2018 – quelli che entrerebbero nelle squadre della categoria “piccoli amici” – sono 4.345 in meno rispetto a dieci anni fa. Nel biennio 2015-2016 – quello dei “primi calci” – ci sono 2.633 nati in meno rispetto a dieci anni fa. Una progressione che si ripete esattamente identica a quella delle scuole, dove diventa sempre più difficile formare le prime classi. E sarà dunque complicato formare le squadre dei pulcini, poi degli esordienti, fino agli Under15 e Under17.
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Il crollo del calcio
«È un momento storico difficile per il mondo dell’attività sportiva dei più piccoli – conferma l’assessore allo sport Diego Bonavina – Da quello che vediamo, c’è un cambio di abitudini delle famiglie per cui il basket e la pallavolo ancora tengono, ma il calcio sta crollando». Alcune società sportive contattate hanno confermato che il calo è ancora gestibile, ma il timore vero è con l’annualità dei nati nel 2020, che tra poco inizieranno a praticare.
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«C’è un trend che è determinato anche dalle scelte che fanno i genitori: una volta il calcio era la disciplina più seguita, soprattutto per i maschi. Adesso i genitori preferiscono portare i ragazzi in altre discipline – spiega ancora Bonavina – In più c’è un fenomeno diverso che riguarda la fascia tra i 14 e i 16 anni, in cui statisticamente c’è già un abbandono dell’attività sportiva, vuoi per impegni scolastici che per altri interessi. Ora si stanno pagando anche gli effetti di due anni di stop durante la pandemia, con tanti ragazzi che non riprendono».
«A questo si aggiunge la legge di riforma dello sport che ha spaventato le società sportive dilettantistiche e di cui ancora nemmeno il governo ha ben capito l’applicazione», prosegue l’assessore. La conclusione è dunque lapalissiana: «Assistiamo a un fenomeno di paventate chiusure di alcune società sportive. E anche all’attivazione di collaborazioni tra società, con travasi di tesserati e sinergie».
Gli interventi del Comune
Pare essere uno dei quei momenti da “o si cambia o si muore”.
Ma il Comune cosa può fare? «Noi abbiamo attivato un progetto pilota sul primo sport – racconta Bonavina – Diamo 160 mila euro al Coni per coinvolgere gli insegnanti di attività motoria anche alle elementari, nel triennio della terza, quarta e quinta. E poi c’è il progetto “PadovaGioca”, nato durante il Covid: aiutiamo le famiglie più deboli pagando il 50% delle rette di iscrizione alle società sportive, perché quando ci sono difficoltà economiche la prima cosa che si taglia è lo sport. Ci allarma il fatto che i dati delle richieste del contributo sono in sensibile aumento».
Il presidente della Polisportiva Brentella
«Registriamo anche noi la tendenza che si riscontra nelle scuole. Ma come di fronte a tutti i problemi gravi, si può farsi prendere dal panico oppure capire come affrontarlo in termini di programmazione». È l’indicazione che arriva da Umberto Zampieri, dieci anni fa assessore allo sport e oggi dall’altra parte della barricata come presidente della Asd Polisportiva Brentella, una realtà di base che opera su quattro discipline (calcio, pallavolo, ginnastica artistica e atletica leggera) in un contesto di quartiere popolari, con una buona presenza di bambine e bambini provenienti da famiglie di origine straniera.
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«C’è da dire che esiste il prezioso supporto di Comune, Fondazione Cariparo e federazioni. Ma va aperta una riflessione su come riorganizzare l’offerta sportiva di base, che è privata e non pubblica a differenza della scuola – sottolinea Zampieri – A mio parere è necessario condividere e, laddove possibile, fare uno sforzo per ottimizzare l’offerta, anche tramite collaborazioni e alleanze strutturali tra società che operano tra territori simili. E bisogna ragionare in termini di città metropolitana, perché un bimbo di Rubano può fare sport a Chiesanuova e viceversa».
«Aggregarsi vuol dire, ad esempio, ottimizzare l’uso degli impianti – prosegue – E poi c’è il rischio di un’esplosione dei costi: è evidente che le alleanze devono puntare a un’ottimizzazione delle spese, per non rendere lo sport un’attività elitaria».
Un altro elemento di cui tenere conto è che larga parte dello sport di base vive di volontariato: spesso sono gli stessi genitori a prestare il loro tempo gratuitamente come dirigenti e presidenti.
«Si fa sempre più fatica a trovare disponibilità – racconta Zampieri – La riforma ha portato a un aumento di scadenze e adempimenti: questo richiede tempo e competenze. Anche in questo senso, trovare delle forme di collaborazione e condivisione tra società può essere una risorsa».
Certo c’è da superare un elemento chiave dello sport: la territorialità e le tradizioni di ogni società. «È vero, ma si possono trovare degli accordi, sia sull’uso dei campi che nella formazione delle squadre». —