Sfratti, inedita risoluzione Onu contro l’Italia: “Viola il Patto sul diritto alla casa”. Dovrà trovare alloggio e risarcire due famiglie
I patti si rispettano, altrimenti perché firmarli, giusto? Sbagliato o almeno è così che la pensa l’Italia. Chiamato al rispetto del Patto sui diritti economici, sociali e culturali (Pidesc) ratificato nel 1977, e in particolare dell’articolo 11 sul diritto a un livello di vita adeguato, alloggio compreso, il nostro Paese ha più volte provato a sottrarsi. Finché, il 28 febbraio scorso, l’Onu ha dovuto censurarne i comportamenti accogliendo i ricorsi di due famiglie di Roma sotto sfratto. La decisione giudiziaria, senza una consultazione e senza prevedere alternative, ha stabilito il Comitato Onu sui diritti economici, sociali e culturali del Patto, costituisce una violazione del diritto a un alloggio adeguato secondo l’articolo 11. L’Italia è ora chiamata al rispettarlo, a compensare le famiglie per i disagi e a trovare loro una soluzione dignitosa e concertata. Inoltre, dovrà relazionare quanto fatto al Comitato entro i prossimi sei mesi.
La constatazione del Comitato Onu è un’inedito nel nostro Paese, e non sarà un caso isolato. “Solo io ho presentato venti comunicazioni, mentre quelli già accolti e in procinto di essere esaminati sono più di trenta”, spiega al Fatto Stefano Portelli, ricercatore in antropologia urbana e da sempre attivista per il diritto alla casa. Il ricorso Onu è uno strumento che Portelli ha contribuito a portare in Italia da Barcellona, dove già da tempo lo utilizzano i Sindacati inquilini catalani. Così ha fatto, tra gli altri, l’Assemblea di autodifesa degli sfratti, nata nella Capitale durante la pandemia e in piena emergenza abitativa, quando le famiglie in coda erano 12mila e gli alloggi assegnati dal Comune nell’intero 202o appena una decina, a fronte di migliaia di sfratti già esecutivi. E’ allora che prendono piede le comunicazioni all’Onu. Ma quando nel 2022 il tribunale di Roma chiama Palazzo Chigi in una causa di sfratto per capire se intendesse dar seguito agli impegni sottoscritti nel Patto, l’allora presidenza di Mario Draghi si smarca. Perché si tratterebbe di raccomandazioni che gli Stati possono decidere se applicare o meno. Peccato che nel 2014 l’Italia abbia sottoscritto anche il Protocollo aggiuntivo, così riconoscendo al Comitato Onu la giurisdizione sui diritti oggetto del Patto.
Così, piaccia o no, oggi il Comitato dice la sua e bacchetta l’Italia. L’occasione, la prima, è il ricorso di due famiglie nordafricane che vivono a Roma e insieme ad altre famiglie occupano alcuni alloggi in via Latino Silvio, rispettivamente dal 2000 e dal 2005, quando la proprietà non era di nessuno. Ad oggi gli inquilini sono una trentina, di cui una decina i minori. Nel 2008 anni le Ferrovie dello Stato diventano proprietarie e nel 2012 arriva la prima sentenza di sfratto, che però non diverrà esecutiva fino al 2021, ad oltre vent’anni dall’arrivo delle famiglie e senza mai trovare una soluzione alternativa compatibile coi loro bassi redditi e con la presenza di minori. In extremis, tutto quello che l’Italia riesce a proporre è un alloggio d’emergenza temporaneo per donne e minori, che divide le famiglie e lascia in strada gli uomini mettendo a rischio il sostentamento di tutti. Respinta dal Comitato la posizione dell’Italia per cui i ricorrenti avrebbero dovuto proseguire la strada giudiziaria interna, con un’improbabile e costosa impugnazione dello sfratto esecutivo e magari, chissà come, presentandosi davanti alla Corte costituzionale.
Al contrario, il Comitato accoglie i ricorsi in cui le famiglie sostengono di aver subito uno stato di incertezza abitativa per 16 anni nonostante le richieste di soluzioni alternative alle autorità nazionali. Quanto alla decisione giudiziaria di sfratto, in assenza di consultazione e di previste alternative, ai sensi del Patto “è una violazione del diritto a un alloggio adeguato”. La constatazione censura l’intero approccio Italiano, ritenendo gli sgomberi forzati contrari alla norma e giustificabili solo in via eccezionale. Nel caso specifico, invece, le autorità italiane non avrebbero rispettato i principi di ragionevolezza e di proporzionalità. E questo perché la limitazione del diritto a un alloggio adeguato, come prescrive l’articolo 4 dello stesso Patto, deve rispondere a precisi requisiti: “Deve essere determinata dalla legge, promuovere il benessere generale in una società democratica, ed essere adeguata allo scopo legittimo citato”, si legge. Ancora: “Il Comitato ritiene che lo sfratto degli autori e delle loro famiglie senza un adeguato test di proporzionalità da parte delle autorità giudiziarie, in assenza di considerazione dell’impatto sproporzionato che lo sfratto potrebbe avere sugli autori e sulle loro famiglie e dell’interesse superiore del bambino, e senza rispettare le garanzie procedurali di un’adeguata e reale consultazione, abbia costituito una violazione del diritto degli autori a un alloggio adeguato”.
Infine le raccomandazioni: fornire agli autori “un rimedio efficace“, “un risarcimento finanziario per le violazioni dei loro diritti” e di “rimborsare agli autori le spese legali ragionevolmente sostenute per presentare questa comunicazione, sia a livello nazionale che internazionale”. Non ultimo, il Comitato chiede un Piano globale per garantire il diritto a un alloggio adeguato per le persone a basso reddito. Solo “raccomandazioni”? Che l’Italia debba prendere la cosa seriamente lo scrive il Comitato stesso, ricordando “che lo Stato parte ha l’obbligo di prevenire violazioni simili in futuro. Lo Stato parte dovrebbe garantire che la sua legislazione e la sua applicazione siano coerenti con gli obblighi stabiliti dal Patto”. A proposito, Portelli ricorda invece come l’Italia abbia eseguito sfratti nonostante le ordinanze cautelari del Comitato Onu che imponevano la sospensione nell’attesa dell’esame dei relativi ricorsi. “Abbiamo dovuto far presente anche questo alle Nazioni Unite”, spiega. Ora, alla luce della risoluzione del Comitato, vedremo se l’Italia preferirà adeguarsi o fare spallucce, col rischio di arrivare ad ammonimenti o addirittura alla cancellazione da firmatari del Patto.
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