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Март
2024

Gino Valle, l’architetto che amava sperimentare da Udine a New York

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Gino Valle, l’architetto che amava sperimentare 


da Udine a New York

Al Museo di Casa Cavazzini fino ad aprile l’omaggio curato da Albani e Graf con lo Studio del professionista, in occasione del centenario della nascita: tavole, modelli, disegni e fotografie

Centoventi pezzi tra tavole, modelli, disegni e fotografie, per dodici grandi opere progettuali a testimoniare la sua brillante e lunga carriera. Ci riferiamo a Gino Valle (1923-2003), l’architetto-designer, internazionale e innovatore, a cui la città natale, Udine, dedica fino ad aprile una seguitissima mostra: “Gino Valle. La professione come sperimentazione continua”, a cura di Francesca Albani e Franz Graf, in collaborazione con lo Studio Valle.

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Il luogo è perfetto: il piano terra di Casa Cavazzini, museo d’arte moderna e contemporanea (spazio su cui si affaccia l’imperdibile appartamento-museo di Dante Cavazzini); l’occasione è ricordare il centenario dalla nascita del famoso e “storico” architetto, cui ad esempio Milano ha da tempo dedicato la sua più grande piazza. È al Portello, e regala anche la visione del bassorilievo di Emilio Isgrò in omaggio a Giovanni Testori.

L’origine dell’esposizione di Udine dedicata a Valle è un viaggio di ricerca iniziato nel 2018 e si propone di rileggere con occhi nuovi – quelli degli studenti universitari - il lavoro di Valle nel periodo compreso tra gli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Ottanta del Novecento.

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Alla base c’è un progetto didattico curato dalla prestigiosa Accademia italo/svizzera di Architettura di Mendrisio, e nello specifico dai professori Francesca Albani e Franz Graf insieme ai propri studenti, in collaborazione proprio con l’Archivio Studio Valle, che è assai ampio (quarantamila disegni e cinquecento rotoli di tavole), e più precisamente con il figlio Pietro, anch’egli architetto.

Ne è nato uno suggestivo reportage: uno spunto di riflessione su “come” Gino Valle costruiva i propri progetti, insieme ai suoi collaboratori, e interpretava lo spazio.

L’intensa attività di Gino è ampiamente nota, ma finora erano rimaste sottotraccia “molte delle sfumature che riguardano l’aspetto collettivo del lavoro all’interno dello Studio e il suo profondo coinvolgimento nel dibattito sociale, architettonico e culturale del tempo, a cui diede sempre una personale e originale risposta”, come sottolineano i curatori Francesca Albani e Franz Graf.

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La selezione delle dodici opere proposte a Casa Cavazzini vuole essere rappresentativa proprio di questo lavoro collettivo in un ampio arco temporale, dai primi lavori degli anni Cinquanta con il padre Provino e la sorella Nani, fino agli anni Ottanta, e dell’ampiezza dei temi affrontati sia nella sua terra, il Friuli, ma anche in diverse parti di Italia e del mondo come Milano, Venezia, New York e Parigi.

I progetti sono tra i più celebri. Ricordiamo ad esempio il Monumento alla Resistenza di Piazzale XXVI luglio, la casa di via Mercatovecchio, sempre a Udine, le case popolari alla Giudecca a Venezia, la sede della Banca Commerciale Italiana a New York, la casa Pozzi-Migotto, realizzata negli anni Cinquanta a Pasian di Prato, vicino a Udine.

E poi c’è la Fantoni ad Osoppo, gli uffici Zanussi a Porcia, la sua prima opera in cui da giovane si fece conoscere internazionalmente. La cosa interessante è che del Monumento alla Resistenza c’è tutta la sequenza in mostra, dal concorso alla realizzazione: una specie di quadreria all’interno di Casa Cavazzini.

L’esposizione in generale presenta materiali originali, soprattutto disegni, disposti in teche o in tavoli luminosi. E poi propone i plastici degli studenti, spesso con le varie sezioni visibili, in dialogo con i disegni.

Non rientrano nella selezione in mostra i progetti architettonici legati a Trieste, come ad esempio la Torre Vriz di via San Francesco, (1955-1958), l’unica opera costruita di Valle nel capoluogo giuliano, di grande impatto innovativo.

A proposito dell’esposizione udinese è il figlio Pietro a sottolineare che “non è monografica ma tematica”. “Analizza il suo lavoro da un punto di vista costruttivo, rispetto al luogo, alla funzione rappresentativa sociale, alle tecnologie”, così sottolinea.

Tre grandi temi

La mostra si articola infatti su tre grandi temi sviluppati attraverso disegni e modelli, che mettono in luce i rapporti della sua architettura con il territorio, l’interpretazione delle istanze sociali del tempo e il concetto di serialità, punto centrale nell’opera di Valle.

Il primo tema, “Architettura e luogo”, analizza come Gino Valle, pur con un linguaggio dell’architettura moderna, abbia sempre cercato un dialogo con la città non mimetico, non pittoresco. Di contrasto forse, ma sempre alla ricerca di una nuova relazione tra nuovo e esistente.

L’altro è “Architettura e società”, e descrive come ha interpretato i temi della società del suo tempo, l’Italia del boom e della ricostruzione. Sono presenti le scuole, le case per tutti, l’architettura di rappresentanza per la nuova industria.

Il terzo, “Architettura e modularità” racconta come l’architetto, che vinse poi in questo ambito il Compasso d’oro nel 1956, nel 1962, nel 1963 e 1995, sia stato tra i primi a nobilitare le tecnologie seriali e modulari, la prefabbricazione, portandola all’interno dell’architettura civile, e in rapporto con il design.

Gino Valle, infatti, dalla fine degli anni Cinquanta fu consulente di product design alla Solari e alla Zanussi. «La produzione architettonica di Gino Valle - così descrivono i curatori Albani e Graf - è il frutto di tante sollecitazioni. I primi anni di lavoro insieme al padre Provino e alla sorella Nani furono caratterizzati da precisione, rigore e moderazione, aspetti determinanti alla base del loro atteggiamento progettuale saldamente ancorato alla loro terra».

«Al contempo la loro attività riservò una straordinaria apertura verso l’esterno, come dimostrano ad esempio gli studi post-laurea di Gino alla Harvard University del 1951».

E poi proseguono: «Il grande patrimonio costruito che Gino Valle ci ha lasciato, estremamente articolato e ancorato ai luoghi e al tempo in cui fu prodotto, rappresenta un’importante testimonianza non solo dell’attività di uno dei progettisti più poliedrici e raffinati del Secondo Novecento, ma anche delle società che lo hanno prodotto».