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Март
2024

Bartolomeo della Gatta, Rinascimento ritrovato

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Una mostra di primavera, «diffusa» nel cuore della Toscana, su un pittore straordinario che insieme con Piero della Francesca, Luca Signorelli e Beato Angelico ha costruito la bellezza di un’epoca.

Cercando notizie su Bartolomeo della Gatta, pittore aretino, ostinatamente misconosciuto, tra Quattro e Cinquecento, osservo con disgusto il dilagare della formula turistica «visit», collegata alla traduzione inglese di Toscana, fino alla oscenità: «visitTuscany.com». Chissà quale perversione internazionalista conduce a sostituire questo goffo invito al semplice, e facilmente interpretabile: vieni in Toscana. Nel caso: «Vieni a Castiglion Fiorentino», dove ti aspettano tre assoluti capolavori di Bartolomeo, da nessuno ricercati, sempre misteriosi, sempre sorprendenti. Il sindaco di Castiglione, Mario Agnelli, sfinito della mia infinita ammirazione per Bartolomeo, si è convinto anni fa a collegarne il destino con un altro, raro e prezioso, difficile artista, al quale il tempo ha restituito la maggior gloria che meritava: Piero della Francesca. È così nato un gemellaggio con Monterchi dove è conservata, mobile e amato affresco di culto, la Madonna del parto. L’uno tira l’altro; e qualcuno verrà a vedere il misterioso Bartolomeo al civico museo di Castiglione, attratto dal materno Piero. E così è stato. E Monterchi vuol dire la vicina Citerna (già in Umbria), dove è stato di recente scoperto e restaurato un Donatello, vicino a un affresco di Luca Signorelli, come è anche Bartolomeo a Castiglione. E Piero è nato nella prossima Sansepolcro dove restano i suoi capolavori: un vasto polittico e l’affresco memorabile con la Resurrezione di Cristo. E poco distante c’è Cortona con l’Annunciazione di Beato Angelico, e larga parte dell’opera stanziale di Signorelli, che a Cortona è nato.

Cosa si può dire, allora, di questo breve viaggio, di questo tragitto di città in città, tra Valtiberina e Valdichiana, alla ricerca del Beato, di Donatello, di Piero, di Bartolomeo e del Signorelli? Che siamo al centro del più puro Rinascimento, tra intatti capolavori e altri che verranno, che qui sono nati. Una mostra in quattro luoghi bellissimi, senza spostare quadri, ma andandoli a cercare in un percorso circolare tra chiese e musei, camminando per antiche strade, fermandosi in locande, allungando lo sguardo verso perduti paesaggi da terrazze e belvederi, passeggiando sotto loggiati in aperte piazze. Sarà dalla prossima primavera, fino all’autunno, la più bella e sana emozione d’Italia, al centro del mondo,davanti a capolavori che aspettano, alcuni intatti e sorprendenti, pronti a rivelarsi. Così Bartolomeo mostrerà ciò che deve e ciò che aggiunge ai suoi più svelati colleghi, e come nessuno più di lui abbia perfezionato e umanizzato, con compiuto talento, il mistero matematico di Piero. Difficile per chiunque raggiungere l’equilibrio, che ha l’eguale, nello stesso tempo, solo nel lontanissimo Giovanni Bellini, della Pala d’altare per la chiesa di San Giuliano a Castiglione. Essa è infinita, e riserva sorprese. A vederla nei dettagli si affaccia il miniatore, distante, meticoloso, capzioso, quanto Signorelli è squadrato e legnoso.

Lo stupore inizia con il Vasari: «...et a Castiglione aretino nella Pieve di S. Giuliano una tavola a tempera alla cappella dell’altar maggiore, dove è una Nostra Donna bellissima e San Giuliano e San Michelagnolo, figure molto ben lavorate e condotte, e massimamente il San Giuliano; perché avendo affisati gl’occhi al Cristo che è in collo alla Nostra Donna, pare che molto s’affligga d’aver ucciso il padre e la madre». Nella Pala sorprende per bellezza la Vergine; ma è bensì vero che non ha l’eguale la figura di San Giuliano nella sua curiosa torsione verso il bambino, preso dal rimorso per il suo imprevedibile delitto: in ginocchio si appoggia alla spada ed esibisce le indimenticabili calze rosse. Stupisce, nella libera composizione, al ritmo binario dei santi Pietro e Paolo che si affacciano dai gradini della straordinaria macchina del trono, la posizione asimmetrica, sghemba, dei due santi cavalieri. Anche il San Michele è tra le creazioni più indimenticabili del secolo: atletico, smisurato, traboccante come un Gerard Depardieu travestito da arcangelo, un Cyrano fuori tempo e fuori campo, applicato a infilzare un addomesticato drago. Tutto è capriccioso e inventato, in questa strana composizione: il volo dei cherubini accomodati a corona intorno al trono, i due bambini ammaccati che giocano scomposti con fiori e uccellini, i rilievi di marmo su fondo oro con i martiri di Pietro e Paolo, gli intagli rossi ovunque dominanti: else, calze, calzari, chiavi, nastri, colletti, rose, cherubini.

Curioso e capriccioso è sempre Bartolomeo, negli altri capolavori lasciati a Castiglion Fiorentino, in prossimità di San Giuliano. Così nell’arcangelo Michele, ora al Museo civico: «Similmente in una cappella poco di sotto, è di sua mano un portello che soleva stare a un organo vecchio, nel quale è dipinto un San Michele, tenuto cosa meravigliosa et in braccio d’una donna un putto fasciato che par vivo». Vero. Spavaldo è Michele con la veste bianca, le ali rosse, il braccio alzato a riparare dal demonio, vinto e calpestato, la piccola mamma inginocchiata che protegge il bambino infagottato nelle fasce. Il racconto è ricco di umore e di autentico spirito popolare, per convincere e far scendere dal cielo alla terra quegli angeli e quei santi, «Come fa» scrive il Vasari «Don Bartolomeo della Gatta, abbate di S. Clemente d’Arezzo, il quale fu in diverse cose eccellente, e costumatissimo in tutte le sue azzioni. Costui, il quale fu monaco degl’Agnoli di Firenze, dell’Ordine di Camaldoli, fu nella sua giovanezza... miniatore singularissimo e molto pratico nelle cose del disegno, come di ciò possono far fede le miniature lavorate da lui per i monaci di San Fiore e Lucilla nella Badia d’Arezzo, et in particolare un messale che fu donato a papa Sisto, nel quale era nella prima carta delle segrete una Passione di Cristo bellissima. E quelle parimente sono di sua mano, che sono in San Martino, Duomo di Lucca».

Dunque miniatore, e buon narratore, curioso nei dettagli, nelle piccole e nelle grandi dimensioni, e sperimentatore come si vede nel suo vertiginoso San Gerolamo, quasi infoibato nel ventre della terra: «E tornato in Arezzo fece nella cappella de’ Gozzari in Vescovado un San Girolamo in penitenza, il quale essendo magro e raso e con gl’occhi fermi attentissimamente nel crucifisso e percotendosi il petto, fa benissimo conoscere quanto l’ardor d’amore in quelle consumatissime carni possa travagliare la virginità. E per quell’opera fece un sasso grandissimo con alcune altre grotte di sassi, fra le rotture delle quali fece di figure piccole, molto graziose, alcune storie di quel Santo». Veridico racconto di un esperienza mistica consumata entro «un sasso grandissimo con alcune altre grotte di sassi». Molto ha visto e molto ha sentito Bartolomeo, e oltre i confini dei pittori toscani, se per trovare esempi di analoga avvventura descrittiva mi ritornano davanti i capolavori di Giovanni Bellini, le grandiose macchine d’altare o il San Francesco in estasi mirabile della Frick collection, o le prodigiose Pale di Ercole de’ Roberti, attivo negli stessi anni. Il monaco si sarà spinto negli anni Ottanta del Quattrocento a Ferrara e a Venezia? Avrà sentito il vento del mare?

Certo è che, tra le sue opere che non ricorda il Vasari, c’è, sempre a Castiglion Fiorentino, la più conosciuta e la più compiuta: le Stimmate di San Francesco: un cantico delle creature in un paesaggio roccioso con i due frati immersi nella fresca natura, colti dalla improvvisa manifestazione della presenza di Dio. Deus sive natura. Frate Lione resta immobile, con il libro delle preghiere in mano, come sospeso, mentre è sorpreso dalla apparizione; Francesco si anima in un ritmo di danza, si slancia verso i raggi dalle stimmate che lo feriscono. In quello spazio riparato e benedetto, noi siamo con loro in uno stato di idillio, accompagnati dalle parole di Franco Battiato: «Cerco un centro di gravità permanente» e «Conosco le leggi del mondo, e te ne farò dono / Supererò le correnti gravitazionali, / Lo spazio e la luce per non farti invecchiare».