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Март
2024

Venti di protesta nella Lega. Zaia: “Preferivo la Liga”

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Dicono che la svolta sia stata il voto sul fine vita in consiglio regionale, con le telefonate dell’europarlamentare salviniano Paolo Borchia per convincere i leghisti a votare contro e con il commento a petto gonfio del Capitano, quel “Bene il no al fine vita in Veneto”, nonostante fosse ben conscio del fatto che per quella battaglia Zaia si era speso in prima persona. In quel momento il governatore del 76% ha capito che qualcuno stava mettendo le mani sul “suo” Veneto e, soprattutto, che qualcuno stava tentando di sabotarlo dall’interno.

Ed è a questo punto della storia che si innesca la svolta, e anche un personaggio politico incline al dialogo e alla mediazione come lui decide di indossare l’elmetto e andare in guerra. In politica ogni parola ha un peso. Luca Zaia che a Treviso, dal pulpito, dice “Preferivo la Lega Nord, anzi la Liga, è senza ombra di dubbio l’inizio di una guerra che avrà come tappe fondamentali le elezioni europee e le regionali del 2025. Se poi calcoliamo che a quelle parole sono seguiti applausi per quasi dieci minuti, allora non serve un fine analista per comprendere ciò che sta succedendo in Veneto.

Il giocattolo di Salvini si è rotto e la pazienza dei veneti pure. Le mani di via Bellerio sul partito, l’insofferenza c’è sempre stata. Prima però almeno c’erano i risultati, con il 34% costruito dal Matteo a trazione Morisi, partendo dal misero 3% dell’ultima stagione di Maroni. Ora il consenso è tornato ai minimi termini, sotto il 4% alle regionali sarde e intorno al 5% secondo un sondaggio segreto commissionato in queste ultime settimane.

A questo si aggiunge il crescente malcontento della base leghista in Veneto per la politica destroide e nazionalista portata avanti da Salvini. Il sindacato del territorio che parla di autonomia e federalismo è un lontano ricordo: ora il centro del programma è il ponte sullo stretto di Messina e al generale Vannacci viene assegnato un ruolo da comprimario. Ma anche la posizione di Salvini su Navalny (“Capisco la moglie ma chiarezza la fanno i giudici”) ha indispettito più di qualcuno.

E allora la battaglia sul terzo mandato di Zaia diventa il pretesto per cominciare a cannoneggiare il Capitano. Ci aveva pensato Roberto Marcato a evidenziare la disfatta dopo le elezioni a Padova, Verona, Vicenza e ora anche in Sardegna. «Noi siamo la Liga veneta e la Lega deve tornare la Lega», dice, ponendo quindi come obiettivo il cambio del nome e l’eliminazione dell’estensione “Salvini premier”.

Nemmeno Gianantonio Da Re la tocca piano: «Il 9 giugno assisteremo a un disastro annunciato. Un sondaggio interno dà la Lega al 5,5%. Il giorno dopo Salvini si deve dimettere. O se ne va con le buone, o andiamo tutti a Milano in Via Bellerio e lo cacciamo con le cattive. Ormai la pensiamo tutti così, a partire da 80 parlamentari che aspettano solo i numeri del voto per muoversi. Anticipare il congresso in primavera a questo punto non serve: Salvini ci ha disintegrati e deve assumersene la responsabilità».

Alberto Stefani, giovane e promettente segretario regionale, prova mantenere tutto in equilibrio ma non sarà facile. «Nel momento in cui finalmente, dopo 30 anni di battaglia politica, l’Autonomia richiesta dai veneti con un referendum sta per essere approvata in Parlamento, bisogna lavorare e non fare polemica», dice. Ma ormai l’argine è rotto, e in questo caso non si parla di maltempo.

Quando anche un politico mite e misurato come Alberto Villanova inizia a diffondere messaggi bellicosi, allora il quadro è completo. «Noi veneti siamo pronti a tutto», ha scritto sulla sua pagina Facebook. «Luca Zaia è il presente e il futuro di questa terra».

La strategia non è nemmeno più segreta. Il progetto è quello di presentarsi alle prossime elezioni regionali con un candidato che sia comunque espressione della Lista Zaia, che alla tornata elettorale del 2020 ha quasi doppiato i consensi della Lega.

Nel pantheon di questo nuovo progetto politico sfilano i volti delle persone cresciute sotto l’ala di Luca Zaia: Mario Conte, Alberto Villanova, Elisa De Berti.

Prima delle prossime regionali però ci sarà lo snodo delle europee e anche in questo caso la strategia è chiara: attendere lo schianto di Matteo Salvini per poi farlo abdicare.