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Февраль
2024

La spesa militare fa volare in borsa

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Oltre 2.200 miliardi di dollari a livello globale. La spesa militare è in crescita esplosiva nel mondo, a partire dall’Europa. E gli investitori puntano forte sul settore.

In un anno, da metà febbraio 2023 allo stesso periodo del 2024, il titolo della società tedesca Hensoldt ha messo a segno un rialzo del 18 per cento. Le azioni della francese Safran invece sono salite del 37 per cento. Meglio ancora hanno fatto la norvegese Kongsberg Gruppen, con un balzo nei 12 mesi del 43 per cento, e la britannica Bae, con un più 39 per cento. Mentre l’italiana Leonardo ha visto salire il proprio valore in borsa addirittura del 79 per cento, una performance spettacolare.

Non tutte queste aziende europee sono famose. Ma sono amate dagli investitori per una ragione semplice: producono armi, mezzi militari, sistemi di difesa, missili, munizioni. Da quando è scoppiata la guerra in Ucraina la domanda di armamenti si è impennata. Non solo per rifornire il Paese invaso dalle truppe russe, ma anche per rimpinguare gli arsenali europei: un anno fa i media tedeschi hanno riferito che la Germania disponeva di munizioni solo per uno o due giorni di guerra. Decisamente troppo pochi. Del resto, gli anni di pace dopo la fine della Guerra fredda hanno illuso l’Europa che nessuno conflitto l’avrebbe più minacciata. E se qualcosa di brutto si fosse avvicinato ai suoi confini, come è accaduto negli anni Novanta nei Balcani, alla fine ci avrebbero pensato gli americani. Il risultato è stato non solo investire poco nella Difesa, ma smantellare molta capacità produttiva del settore.

Poi è arrivato il 24 febbraio 2022, quando i carri armati di Mosca sono entrati in Ucraina. E tutto è cambiato. L’interesse dei governi per gli armamenti si è risvegliato: l’edizione 2023 della fiera londinese Defence and Security Equipment International, un’esposizione biennale di sistemi d’arma, elettronica militare, aerei e perfino navi, ha polverizzato ogni record con il 23 per cento in più di visitatori provenienti da una cinquantina di Paesi e 1.600 aziende presenti. Tra cui le italiane Leonardo, Iveco Defence Vehicle, Elt (software ed elettronica), Beretta, solo per citarne alcune.

Secondo l’Agenzia europea della difesa, la spesa militare nell’Unione ha raggiunto i 270 miliardi di euro nel 2023, il 12 per cento in più rispetto al 2022. E crescerà ancora, visto che tutti i Paesi membri della Nato dovranno portare le spese per la difesa ad almeno il 2 per cento del Pil, e finora solo 11 su 31sono in linea. A livello globale, è la stima dello Stockholm international peace research institute (Sipri), le spese militari sono state pari nel 2022 a 2.240 miliardi di dollari e continuano ad aumentare a causa della minaccia russa, dell’intensificarsi del conflitto in Medio Oriente, delle tensioni in Asia. E, ricorda il Sipri, l’Europa è stata di gran lunga l’area dove la spesa militare è salita di più.

Un fiume di denaro che dalle tasche dei contribuenti finisce, in parte, nelle casse di un pugno di società specializzate. Come la Leonardo, guidata dall’ex ministro Roberto Cingolani, all’undicesimo posto nella top 100 di Defense News, la classifica delle più importanti imprese di settore a livello mondiale. O come la Rheinmetall, considerata la maggiore impresa tedesca che produce munizioni e armi. O la Hensoldt, pioniere della tecnologia per l’elettronica di difesa e sicurezza. O ancora la Kongsberg che spazia dalla marina mercantile alla difesa e all’aerospazio.

In particolare sono proprio le aziende che operano nei Paesi nordici ad aver registrato forti incrementi di ricavi. La Saab con sede in Svezia, 33° più grande appaltatore della difesa al mondo secondo la lista di Defense News, ha annunciato poche settimane fa che gli ordini sono aumentati del 23 per cento. La Kongsberg ha portato a casa il contratto più grande di sempre dell’azienda per un sistema missilistico di difesa costiera destinato alla Polonia. In Finlandia la società Patria, che realizza veicoli blindati e sensori per rilevare le mine, ha visto gli ordini salire del 19 per cento.

Il risultato è che da un paio di anni la finanza guarda con molta attenzione alle imprese della difesa. Spiega Gabriel Debach, Italian market analyst di eToro: «Le prospettive per il settore appaiono solide, con una prevista crescita della spesa militare in molte nazioni della Nato. Questa tendenza è in parte una risposta alle richieste-minacce di Donald Trump e alle pressioni all’interno della stessa Alleanza atlantica». Debach fa l’esempio della Saab che, tra le altre cose, produce sistemi di difesa aerea, missili anti-carro, veicoli blindati: «Nel 2023 ha registrato una notevole crescita del fatturato, accompagnata da miglioramenti significativi nell’utile operativo, che è aumentato del 30 per cento, portando il margine operativo all’8,3 per cento». In dodici mesi il titolo Saab ha guadagnato più del 50 per cento. Tra le azioni preferiti dell’analista c’è anche quello della americana Rtx, ex Raytheon Technologies, produttrice dei missili Patriot.

La banca d’investimenti danese Saxo ha messo a punto un paniere di titoli «con l’elmetto» tra cui le già citate Leonardo, Dassault, Saab, Hensoldt, Bae, Kongsberg. E poi a banca consiglia naturalmente molte società americane più o meno note: dalla L3Harris Technologies, gruppo aerospaziale e di difesa che costruisce sistemi di comunicazione, avionica e satellitare, alla Lockheed Martin, la più grande azienda del settore militare nel pianeta, famosa per i suoi jet come l’F-35 Joint Strike Fighter, l’aereo più costoso del mondo. Nel «basket» delle azioni preferite dalla Saxo ci sono anche la Northrop Grumman, uno dei maggiori produttori mondiali di tecnologia militare, la General Dynamics, costruttore di navi, carri armati e veicoli terrestri, e la Rtx. Le imprese statunitensi della difesa sono le più gettonate dagli gnomi della finanza perché possono sedersi al più ricco banchetto di spese belliche del globo: il National Defense Authorization Act per il 2024 prevede 886,3 miliardi di dollari di spese nel settore, in aumento del 3,3 per cento rispetto al 2023.

Una cifra gigantesca, più di quanto spendono complessivamente Cina, Russia e India messe insieme. E il cosiddetto gruppo dei «Big Five», composto da Lockheed Martin, Rtx, General Dynamics, Boeing e Northrop Grumman, si è accaparrato una fetta pari a circa un terzo del budget annuale del Dipartimento della difesa Usa. Ben 47 miliardi di dollari sono finiti alla sola Lockheed Martin, più di qualsiasi altra azienda. Il sito finanziario The Motley Fool considera attraenti proprio i titoli di Lockheed Martin, Northrop Grumman, General Dynamics, Rtx, a cui aggiunge la meno famosa Leidos Holdings, società di information technology legata al mondo militare. Invece per Morgan Stanley le aziende con un alto potenziale di crescita sono, oltre a Northrop Grumman e L3Harris Technologies, la TransDigm, che progetta e produce parti originali di aeromobili; la Howmet Aerospace, specializzata in lavorazioni meccaniche di precisione per l’aeronautica; la Textron, che realizza elicotteri e aerei; la Curtiss-Wright (elettronica per la difesa); la Cae (prodotti di simulazione navale, aerea e terrestre). Investire in aziende che producono armi pone però dei problemi etici, soprattutto per quei fondi Esg (Environmental, social e governance) che promuovono obiettivi ambientali, sociali e di buon governo. Dario Mangilli, head of sustainability di Impact Sgr sostiene che «il perseguimento di obiettivi di sostenibilità è incompatibile con investimenti in armi, sia per ragioni etiche che reputazionali. Ciò detto, la difesa delle istituzioni democratiche e dell’ordine internazionale multilaterale di fronte alla crescente minaccia militare posta dai regimi autoritari è diventata purtroppo oggi una priorità assoluta. Lo è di sicuro in Europa, davanti alla minaccia russa. Il contesto geopolitico rende dunque inevitabile la crescita di investimenti in sistemi difensivi, ma non può essere compito degli investitori sostenibili finanziarli».

Tuttavia, secondo i dati degli analisti di Morningstar, lo scorso anno oltre 1.200 fondi Esg detenevano azioni del comparto aerospazio e difesa, con un aumento del 25 per cento rispetto al 2022. E di recente i ministri della Difesa della Ue hanno invitato le banche a concedere all’industria un maggiore accesso ai prestiti, visto che molti istituti sono riluttanti a finanziare imprese operanti negli armamenti. Forse difendere la democrazia non è tanto etico quanto difendere l’ambiente? Il dibattito ora è più che mai aperto.