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Февраль
2024

Chi trova l'uranio avrà un tesoro

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In tutto il mondo l’energia nucleare è sempre più richiesta, ma il metallo radioattivo necessario a produrla è merce rara. Anzi: va scomparendo. Al punto che si stima un aumento esponenziale del suo valore, già alle stelle, mentre ci si affanna a cercare nuovi giacimenti. E in Italia? C’è, ma rimane sottoterra.

Uranio. La sfida delle materie prime per la transizione ecologica ha un altro protagonista eccellente oltre al litio e al rame. La crisi energetica ha riacceso i riflettori sul nucleare come soluzione alternativa in grado di soddisfare tutti i requisiti di basso impatto ambientale. Per gran parte dei Paesi al mondo, significa incrementare gli investimenti mentre per l’Italia, vuol dire riaprire un capitolo spinoso. Oltre al tema della costruzione delle centrali c’è il problema del reperimento del metallo essenziale per il nucleare. I giacimenti nel nostro sottosuolo sono poco esplorati e comunque l’attività estrattiva, laddove era stata avviata, si è scontrata con il fuoco incrociato degli ambientalisti e delle comunità locali. Il sito bergamasco di Novazza, in Val Seriana, a nord-est di Bergamo, è l’unica miniera d’uranio attivamente sfruttabile. È un piccolo giacimento scoperto mezzo secolo fa dall’Eni, ma chiuso dopo il referendum antinucleare del 1987. Nel 2006 la società australiana Metex Resources, fece domanda alla Regione Lombardia per ottenere la concessione all’estrazione ma il territorio insorse e il progetto di estrarre 870 mila tonnellate di materiale da cui ricavare 1.300 tonnellate di ossido di uranio l’anno, venne archiviato. Si stima che l’Italia abbia giacimenti per 6.100 tonnellate, sufficienti ad alimentare per 30 anni una sola centrale. Quindi non si tratta di quantità in grado di garantire un’autosufficienza energetica.

Pertanto, bisogna guardare oltre confine. Si dà il caso però che, per una caratteristica naturale, questo minerale sia concentrato in poche località, il che lo rende molto prezioso. Inoltre, siccome da quando è scoppiata il conflitto russo-ucraina la domanda è esplosa, i prezzi sono saliti in modo vertiginoso. Una situazione alimentata anche dal fatto che i diritti di estrazione sono in mano a poche multinazionali che sui mercati fanno il bello e il cattivo tempo. Quindi i Paesi non produttori sono soggetti a subire i prezzi dei produttori, come avviene per il petrolio. Alcuni analisti ritengono che il picco di estrazione sia più imminente di quello del petrolio. C’è il rischio che il mercato non riesca a soddisfare aumenti di domanda della materia prima. L’energia nucleare oggi rappresenta il 7 per cento circa del fabbisogno energetico globale con il 17 per cento di energia elettrica prodotta. Sono circa 440 le centrali attive. Negli Stati Uniti, la Casa Bianca con l’Advanced Act, ha stanziato otto miliardi per sostenere lo sviluppo del nucleare e l’Europa, con il regolamento sulla tassonomia, ne ha riconosciuto il ruolo, assieme al gas naturale per accompagnare la transizione ecologica. Quanto all’Asia, sempre più affamata di energia e avendo raggiunto il limite massimo di utilizzo del carbone a causa del pesante inquinamento, è alla ricerca di alternative. La Cina per i tanti impianti in costruzione, avrà sempre più bisogno di uranio. Anche il Giappone ha cambiato la strategia e se dopo Fukushima aveva bloccato 33 reattori nucleari, oggi ne ha riattivati 11.

Un report di Plenisfer Investment, società di asset management legata al gruppo Generali, conferma la corsa al nucleare. Scrive: «Sono infatti 59 gli impianti tradizionali già in costruzione e ulteriori 111 sono stati approvati mentre 321 sono allo studio. Dei nuovi, quasi il 50 per cento verrà realizzato in Cina». La recente conferenza sul clima COP28 ha visto l’impegno di 24 nazioni, tra cui Stati Uniti, Giappone, Canada, Gran Bretagna e Francia, a triplicare la capacità di energia nucleare entro il 2050. La Cina prevede quasi di raddoppiare la sua capacità a 100 gigawatt entro la fine del decennio. Secondo la banca di investimenti Bmo Capital Markets, diventerà, entro il 2028, il maggiore consumatore di uranio del mondo. Basta questo per spiegare la crescita della domanda del prezioso metallo e la conseguente esplosione dei prezzi. A gennaio è stato toccato un nuovo picco, a 91 dollari per libbra (circa 450 grammi), il livello più alto da dopo il disastro di Fukushima nel 2011.

In Australia, Stati Uniti e Africa, ci sono programmi per riaprire diverse miniere di uranio, precedentemente messe fuori servizio. Kazatomprom, società quotata a Londra, controllata dal governo del Kazakistan attraverso il suo fondo sovrano, che ha la più grande miniera di uranio al mondo, ha dichiarato che la carenza di acido solforico e i ritardi nella costruzione dei nuovi giacimenti stanno creando problemi di produzione che potrebbero continuare fino al 2025. È probabile quindi che non riuscirà a raggiungere i suoi obiettivi di produzione nei prossimi due anni. Quale è la geografia dei principali giacimenti? «Bisogna distinguere tra il mercato attuale dell’uranio e le riserve nei vari Paesi. I principali produttori sono in ordine, Kazakistan, Australia, Namibia e Canada ma i Paesi con le maggiori risorse naturali sono Australia, Canada. Kazakistan e Niger» spiega Giuseppe Zollino, docente all’Università di Padova di Tecnica ed economia dell’Energia e Impianti nucleari. Poi sottolinea che «le risorse, come si vede, sono localizzate in aree diverse da quelle con grandi disponibilità di gas e petrolio e questo ha implicazioni geopolitiche perché consente di diversificare le nazioni di approvvigionamento».

La Russia possiede il 6 per cento delle riserve globali, ma ha circa il 50 per cento delle infrastrutture per l’arricchimento di questo metallo ed è un importante fornitore di servizi di estrazione e macinazione. «L’Europa segue a ruota con capacità di arricchimento leggermente inferiore», afferma Zollino. In Africa si trovano oltre il 20-23 per cento delle riserve di uranio conosciute del pianeta e la corsa ad aggiudicarsi i diritti di estrazione si intreccia con i conflitti nell’area. In Niger è ancora determinante la presenza francese, in quanto ex colonia. Il recente golpe e il ruolo di Parigi, è legato proprio al controllo delle miniere di uranio. Il gruppo pubblico transalpino Orano ha annunciato che sfrutterà fino al 2040 il giacimento nel Niger settentrionale dal quale si estraggono circa 1.900 tonnellate d’uranio ogni anno, a fronte d’una produzione mondiale oggi di circa 50 mila tonnellate, secondo l’Ocse. Ci sono poi i cinesi che dal 2007 sfruttano l’importante giacimento di Azélik, a 80 chilometri ad ovest di Agadez e i canadesi di Global Atomic, che invece, dal 2025 saranno impegnati in una miniera fra Arlit e Agadez. Pechino è molto attiva in Africa e controlla soprattutto i giacimenti in Namibia, ovvero il 12 percento della produzione mondiale. In Botswana è presente l’australiana A-Cap Energy (la cui maggioranza azionaria è cinese) che nel 2016 ha ottenuto per 22 anni i diritti minerari del sito di Letlhakane nel nord-est del Paese.

E la Russia? L’agenzia ufficiale Ria Novosti, ha di recente sottolineato, con toni trionfalistici che lo scorso novembre, Mosca è diventato «il principale esportatore di uranio verso gli Stati Uniti per la prima volta da maggio» spendendo nel 2023, oltre un miliardo di dollari. Questo proprio in piena guerra ucraina. In Africa, il gruppo energetico Rosatom sta aumentando le proprie riserve di uranio, anche attraverso l’acquisto di un progetto in Tanzania per 1,15 miliardi di dollari. Il Burkina Faso ha firmato a Mosca un memorandum d’intesa sempre con la Rosatom, per la cooperazione nell’uso dell’energia atomica e per la costruzione di centrali nucleari. C’è poi il discorso del mercato dell’arricchimento dell’uranio. «Un impianto moderno con tecnologia a centrifugazione, efficiente e economica, si può costruire in pochi anni, sebbene sia giustamente sottoposto a una serie di controlli» aggiunge Zollino. Questo quindi potrebbe mettere in gioco Paesi che non hanno giacimenti significativi e non possono fare un’attività estrattiva. Come l’Italia? «Il nostro Paese innanzitutto deve darsi regole chiare per favorire gli investimenti e per ritagliarsi un ruolo se è vero che vuole riaprire la partita del nucleare. Non bisogna perdere tempo». Un primo passo è stata la Conferenza Italia-Africa con cui a Roma sono stati rinsaldati e creati rapporti di cooperazione. La strada è aperta, ma è tutta in salita.