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Январь
2024

Un veneto nella giuria dei Golden Globe

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Un veneto nella giuria dei Golden Globe

foto da Quotidiani locali

Ottant’anni, festeggiati mercoledì 25 gennaio con una festa a L.A.. «C’erano amici da tutto il mondo, ma attori hollywoodiani no: hanno la puzza sotto il naso» dice, ridendo.

Armando Gallo è nato a Oriago (Venezia), ma da 45 anni fa il giornalista in America, membro della giuria che assegna i Golden Globe.

Segni particolari: ha scoperto i Genesis.

Armando Gallo: da Oriago di Mira alla giuria dei Golden Globe. Che storia è?

«Quella di un bambino che sognava l’America guardando sullo schermo il leone della Mgm che ruggiva. Ventidue anni in Italia: infanzia a Oriago, adolescenza a Roma. Fatto il militare, ho comprato un biglietto di sola andata per Londra. Dopo sarebbe arrivata L.A.: il sogno».

Facciamo un passo indietro: com’era la sua vita a Oriago?

«Mamma casalinga, papà pittore. Aveva un talento enorme, era uno spirito libero. Ho preso da lui. I suoi quadri ora sono esposti a casa mia a Los Angeles. Ma all’epoca, con quelli, mica si campava. E così papà si è messo a lavorare per il Ministero della difesa, e ci siamo tutti trasferiti a Roma. Avevo 9 anni. Quando gli ho chiesto: “Papà, perché non fai solo il pittore?”, mi ha risposto: “Perché ho tre figli”».

Una persona importante della sua infanzia?

«Il maestro della scuola elementare di Oriago, Marino Quintiliani. Quando ci trasferimmo a Roma, disse ai miei genitori che sarebbe stato un peccato farmi interrompere l’anno, perché ero bravo. Ecco il primo insegnamento della mia vita: se c’è qualcuno che crede in te, ascoltalo. Con lui imparai a disegnare. Ricordo che un giorno disegnai il cavallo di Troia: fu la mia prima ispirazione artistica. E sempre con lui imparai a scrivere i temi. Per me è stata una persona fondamentale. Insieme a mio papà».

Un insegnamento di suo papà?

«Mi diceva sempre: “La fortuna aiuta gli audaci”. È vero, il mondo è lontano soltanto una telefonata».

La telefonata della vita?

«1970. Saverio Rotondi, direttore di Ciao 2001. Una telefonata internazionale dall’Italia a Londra, costosissima. Nemmeno mi conosceva e mi propose di fare il loro corrispondente da lì. Tempo due mesi e mi licenziai da geometra».

Si era trasferito a Londra per fare il geometra?

«Per pagarmi le serate nei locali. Lavoravo alla Chamberlain parking system, un parcheggio della City. Per me, che nella mia vita avevo visto solo quello di piazzale Roma, era fantascienza vera. Ma la sera ero sempre in giro. Erano gli anni del rinascimento musicale dopo i Beatles, la città era elettrica e c’era sempre qualcosa di nuovo da raccontare».

Su Ciao 2001...

«Mi chiedevano due articoli a settimana, per raccontare i complessi emergenti».

E chi ha scoperto?

«I Genesis. Straordinari. In Inghilterra non avevano grande fortuna, ma facevano una musica che ero sicuro il pubblico italiano avrebbe apprezzato. E infatti vennero in Italia e riscossero un successo enorme. Non troppo tempo fa, nel presentarmi al suo tecnico del suono, Peter Gabriel mi ha introdotto così: “Armando è stato il nostro evangelista”. Not bad».

Il cinema com’è arrivato?

«Nuovo contratto per Ciao 2001: dieci articoli al mese e una rubrica. Mi permise di ottenere il visto giornalistico per l’America. Nell’aprile del ’75 lasciai Londra per Los Angeles. E quella è stata l’estate più bella della mia vita: i parchi nazionali, le spiagge, l’oceano Pacifico, il surf. Un’esplosione. Nessuno mi ha mai chiesto quanto mi sarei fermato, sapevano tutti che era “per sempre”».

Il lavoro com’è cambiato?

«Era tutta questione di “good vibrations”. Mentre in Europa ogni tentativo veniva ripetutamente cassato: “Ci hanno già provato. Lascia perdere”, lì c’era entusiasmo di fronte alle proposte, davanti alle novità. Così mi sono buttato sul cinema».

Che a L.A. corrisponde a Hollywood...

«All’esterno della Mgm c’era pure la scultura del leone che ruggiva. Andavo sui set dei film. Come “James Bond”, con Roger Moore. Il mio ritratto con la moglie Luisa Mattioli e il figlioletto di 10 mesi, in braccio, ebbe un successo enorme. Mica sapevo che fosse severamente vietato fotografare sul set».

Fu sua la trovata di fotografare l’artista che intervistava con una copia della rivista per cui scriveva...

«Ho iniziato con Martin Scorsese, sul set di “New York, New York”. Gli misi in mano una copia di Sorrisi e scattai. Poi lo feci con Spielberg. Era per promuovere la rivista, sì, ma soprattutto per fare avere quella foto a mia mamma. Continuava a ripetermi: “Ti ga studià tanto, ti ga el diploma e ti scrivi par ’sti giornaetti”. E invece intervistavo Robert De Niro, Anthony Hopkins, Liza Minelli...».

Il più grande?

«Johnny Depp. Attore enorme, uomo delizioso: divertente, modesto, gentile. Stritolato dalla cattiveria della gente».

Lei è nell’empireo della stampa cinematografica, nella giuria che assegna i Golden Globe. Il suo film preferito del 2023?

«“Killers of the Flower Moon” di Martin Scorsese».

Come funziona votare ai Golden Globe?

«Voto dal 1979, quando sono stato ammesso alla Hollywood Foreign Press Association. Ora non esiste più, ma io continuo a essere nella giuria. È semplice: bisogna vedere tutti i film dell’anno, per poi, a novembre, votare. È tutto segretissimo, controllato dalla Ernst & Young e da un pool di avvocati».

La fa semplice...

«It’s just Hollywood».

Con i vip

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