A Trieste dagli ombrelli rossi malconci nascono frisbee o borse per i diritti di sex worker ed emarginati
TRIESTE Nei laboratori della sartoria sociale Lister dell’ex Opp ombrelli malconci e rotti dalla bora si tingono del rosso simbolo della battaglia delle sex worker per i propri – e di altre e altri – diritti civili trasformandosi in frisbee, aquiloni, mantelline e borsette da rivendere, riutilizzare o esporre in gallerie d’arte per far discutere di emancipazione e diversità, salute sessuale ed economia circolare.
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Ombrelle Rosse
“Ombrelle Rosse” – progetto finanziato dalla Regione e ideato da Cizerouno con Lister Sartoria Sociale, Conferenza permanente per la Salute mentale nel mondo Franco Basaglia e il Comitato dei diritti civili delle prostitute (Cdcp) – è un tessere comune tra tutto questo e mette insieme collettivi transfemministi e imprese sociali per incoraggiare l’inserimento lavorativo delle persone emarginate e tutto quello che il lavoro dovrebbe portare con sé: autonomia, socialità e pari dignità. Il progetto, lanciato nel comprensorio di San Giovanni dopo un prima sperimentazione nel Museo Reina Sofía di Madrid, recupera le “ombrelle” rosse raccolte – soprattutto, ma non solo – dalle sex worker e le ricicla nell’atelier ospitato nel padiglione “M” o delle matte “tranquille” dell’ex manicomio, riconvertendole in oggetti di uso quotidiano secondo i concetti dell’economia virtuosa o ancora in piccole opere da esporre in mostre in programma quest’estate tra Trieste, Gorizia, Pordenone, Pola, Madrid e Barcellona.
Un simbolo di lotta
«Non vogliamo essere emarginate! Non vogliamo finire nelle discariche e neanche che ci finiscano i nostri ombrelli», dice Pia Covre, storica attivista e madrina del Cdcp: in pochi ricordano che fu proprio il neonato comitato delle prostitute italiane ad aprire per la prima volta, riunendosi per la Biennale di Venezia del 2001, una marea di ombrelli rossi come atto di rivendicazione contro le violazioni dei diritti umani che queste lavoratrici sono costrette ad affrontare. Da allora le “ombrelle rosse” sono simbolo di chi lotta contro questo stigma e poiché, insegna Basaglia, lavoro e dignità si scrivono insieme, il progetto presentato si propone come una simbolica “alleanza” tra prostitute ed enti del terzo settore.
Diversi ma non diseguali
«Noi vogliamo essere diversi, ma non diseguali», diceva lo psichiatra Franco Rotelli, e lo ricorda Pantxo Ramas della Conferenza Basaglia che pensa a «lavorare sugli scarti perché possano tornare a costituire una risorsa per la società»: ecco allora che i tessuti altrimenti da “buttar via” acquisteranno nuova vita con il taglia-e-cuci delle stesse sex worker affiancate dalle dipendenti della Lister, perlopiù donne con borsa formazione-lavoro, con problemi di salute mentale o alle spalle storie di tossicodipendenza ma pronte a rimettersi in gioco.
Nell’ambito di una serie di workshop primaverili (il primo è previsto per aprile) le “ombrelle” saranno così trasformate in possibilità creative ma anche economiche per persone in contesti vulnerabili: frisbee, aquiloni e mantelline da mettere in vendita per sostenere la sartoria sociale come anche il progetto “Stella Polare”, promosso dal Cdcp per accogliere donne e bambini migranti vittime della tratta umana, o esporre in eventi pop-up e dibattiti pubblici sulla vita invisibilizzata e i diritti negati di chi lavora con il sesso.
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